Youssou l'uomo e il ballottaggio

Le tranquille elezioni senegalesi, e la vittoria del popolo

Recensione
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Le immagini parlavano da sole: lunghe code di senegalesi fuori dai seggi, giovani e anziani, uomini e donne, in attesa, con pazienza e compostezza, di entrare a votare. Alla televisione, France 24 dice: alta affluenza alle urne. Confesso di avere avuto un moto a cavallo fra esultanza e commozione.
Ma torniamo indietro di un mese. La sera di venerdì 27 gennaio il Consiglio Costituzionale del Senegal annuncia le proprie decisioni sulle candidature alle presidenziali. Accolta quella del presidente uscente Abdoulaye Wade, alla massima carica dello stato dal 2000: durante il suo primo mandato, Wade ha promosso una riforma costituzionale che ha limitato a due i mandati consecutivi di un presidente, ma ha anche sostenuto che il mandato in corso al momento della riforma non andava contato. Il Consiglio Costituzionale gli dà ragione, ammettendo la legittimità della sua ambizione ad un terzo mandato. Ratificate - con un'eccezione - le candidature dei più importanti rappresentanti dell'opposizione: ammessi Idrissa Seck, Moustapha Niasse, Cheikh Tidiane Gadio, Macky Sall (tutti ex ministri o addirittura primi ministri di Wade, tutti passati a posizione anti-Wade) e Tanor Dieng, leader del partito socialista (lo storico partito di Senghor, il padre dell'indipendenza senegalese e primo presidente - per due decenni - del paese, e del suo delfino Abdou Diouf, suo successore alla presidenza - per altri due decenni - battuto poi nel 2000 da Wade, candidato della coalizione dell'opposizione). L'eccezione è quella di Youssou N'Dour, star della musica senegalese e proprietario di un impero economico-mediatico: la sua candidatura è respinta perchè delle dodicimila firme a sostegno presentate dal cantante, ne sono state ritenute valide dalla consulta meno delle diecimila necessarie. Dopo l'annuncio della sentenza del Consiglio Costituzionale, atteso dall'opposizione con un grande concentramento nel quartiere popolare di Colobane, scoppiano incidenti, con scontri con la polizia che si prolungano per ore nella notte e nel corso dei quali un agente rimane ucciso. Youssou N'Dour rilascia dichiarazioni in cui parla di "colpo di mano" di Wade. Senza precedenti per il Senegal - per quanto per fortuna solo propagandistico - l'invito a caldo di un'esponente dell'opposizione a marciare sul palazzo presidenziale per far sloggiare Wade con la forza. Il giorno dopo Youssou N'Dour viene spintonato dalla polizia mentre cerca di portare la propria solidarietà ad Alioune Tine, presidente di una associazione che si occupa di diritti umani, fermato in seguito agli incidenti.

Dopo la sentenza del Consiglio Costituzionale il Senegal non ha pace. Praticamente tutti i giorni manifestazioni, incidenti e scontri: purtroppo anche diverse vittime, giovani e giovanissimi uccisi dalla polizia. Una parte dell'opposizione insiste nel chiedere il ritiro della candidatura di Wade; una parte addirittura agita la parola d'ordine del boicottaggio delle elezioni. Tra i motori della protesta Y’en a marre ("ne abbiamo abbastanza"), in cui è rilevante il peso dei giovani rapper. Youssou N'Dour rimane ferito ad una gamba, anche se non gravemente, durante una manifestazione dispersa dalla polizia. Molti osservatori, analisti, giornalisti, vedono il Senegal sull'orlo del baratro della guerra civile, e avanzano paragoni con la deriva della Costa d'Avorio.
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Venerdì 24 febbraio, giorno della chiusura della campagna elettorale, le voci si inseguono e rimbalzano: si ragiona sulle possibilità di Wade di truccare le elezioni, si sente di riunioni di autorità religiose che temono per il peggio, si parla di un possibile pronunciamento delle forze armate, intenzionate a prendere in mano la situazione e a rimettere a posto le cose, ma anche di un invito rivolto dall'esercito alla polizia perché in qualunque caso eviti di sparare. .
Nelle città chi ha i soldi per farlo fa scorta di provviste. .
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Malgrado la drammaticità della situazione, ho continuato a non credere al paragone con la Costa d'Avorio. Ho da anni la percezione del Senegal - l'ho scritto anche qui in un blog precedente - come di un paese in cui i valori della democrazia sono, per tutta una serie di ragioni storiche e culturali, fortemente interiorizzati dalla popolazione, anche negli stati più umili e meno istruiti. In più in Senegal mancano rispetto alla Costa d'Avorio rilevanti contraddizioni etniche. C'è un forte senso di appartenenza nazionale. C'è una tradizione di laicità: i musulmani sono la stragrande maggioranza ma il padre della patria era un cristiano. C'è una tradizione di responsabilità e non ingerenza delle forze armate. C'è un tessuto di autorità religiose che vengono ascoltate. C'è un società in difficoltà sotto i colpi del liberismo ma che ancora tiene. E negli ultimi quindici-vent'anni si è sviluppata una notevole articolazione di radio, quotidiani e televisioni indipendenti: le radio "libere" furono decisive nel 2000 per verificare la regolarità delle svolgimento delle presidenziali e per controllare il risultato. Insomma, rispetto alla Costa d'Avorio e ad altri paesi africani c'è meno materiale infiammabile e ci sono più estintori.

Sabato 25 il Senegal vive una giornata di calma irreale.
Domenica 26 i senegalesi vanno in massa a votare: nel Paese, ma anche a Roma, a Milano, a Brescia, a Parigi, a Washington... In serata, la tendenza che si delinea dai primi dati parziali è chiara: secondo turno, con Wade e Macky Sall. Ammesso che lo abbia fatto nelle chiacchierate elezioni del 2007, in cui fu riconfermato, questa volta Wade era troppo indebolito per poter barare, se non marginalmente.

Martedì 28 il capo degli osservatori UE dichiara che le elezioni si sono svolte senza rilevanti irregolarità, e conferma che la prospettiva è quella di un secondo turno. La comunicazione ufficiale dei risultati è annunciata per venerdì. Forse non a caso fra tutti i candidati dell'opposizione viene premiato Macky Sall, il più rapido e il più netto, dopo la sentenza del Consiglio Costituzionale, a smarcarsi dalla logica inconcludente della protesta ad oltranza (sposata anche da Youssou N'Dour) contro la candidatura Wade o addirittura del boicottaggio delle elezioni: del resto, la decisione della Corte Costituzionale era gioco sporco, ma che Wade venga mandato a casa da un voto popolare e non da una sentenza ha i suoi aspetti positivi. Sall ha preferito fare campagna e parlare di contenuti. Non è uno stinco di santo, è un liberista come Wade, ma l'importante adesso è voltare pagina dopo l'anomalia Wade. Realisticamente, Wade ha già fatto il pieno e non ha possibilità al secondo turno. Intanto c'è già un vincitore sicuro uscito dalle urne di domenica 26, ed è il popolo senegalese.

E Youssou N'Dour? Youssou adesso ha un bel rivendicare l'impegno delle sue canzoni, ma in realtà non è mai stato uno che volesse disturbare il manovratore. Quello che sorprende non è che si sia candidato alla presidenza: è che - una volta respinta la sua candidatura - si sia buttato, letteralmente, nella mischia, si sia esposto persino fisicamente. Per difendere i suoi interessi imprenditoriali non avrebbe avuto bisogno di farlo: poteva continuare a tuonare contro Wade, amplificato dai media di tutto il mondo, ma senza mettersi così in gioco. Si dice che è il ruolo che fa l'uomo. È anche il momento che fa l'uomo, e ci sono momenti in cui devi decidere chi sei. Forse Youssou N'Dour ha scelto di essere non solo l'artista che ammiriamo, ma anche un uomo che non sospettavamo.

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