Violetta tra festini e poesia

Una "Traviata" che – più che riproporre un'immagine astratta di melodramma – ha presentato sul palcoscenico del Regio di Parma un'idea di "teatro" vero e proprio, seppur naturalmente "musicale".
La regia di Ernst e Herrmann ha segnato questa messa in scena attraverso un uso marcato della recitazione, dato che se ha influito un poco sulla resa del canto, non ha comunque impedito a Temirkanov di ritagliare oasi di grande e poetica ispirazione.

Recensione
classica
Fondazione Teatro Regio di Parma Parma
Giuseppe Verdi
04 Ottobre 2007
Dopo "Luisa Miller" e "Oberto", il novello Festival Verdi di Parma ha offerto il terzo titolo verdiano in programma: una "Traviata" che – più che riproporre un'immagine astratta di melodramma – ha presentato sul palcoscenico del Regio un'idea di "teatro" vero e proprio, seppur naturalmente "musicale". La regia di Karl Ernst e Ursel Herrmann ha segnato questa messa in scena attraverso un uso marcato della recitazione, chiamando gli interpreti a muoversi continuamente in uno spazio scenico che ricreava minuziosamente la Parigi borghese e godereccia della metà dell'Ottocento. Un dinamismo che ci ha restituito le feste del primo e del secondo atto come veri e propri festini erotico-goliardici. Tutto questo, se in certi tratti ha influito un poco sulla resa del canto, non ha comunque impedito di ritagliare oasi di grande e poetica ispirazione: tra questi, nel secondo atto, il dialogo tra Giorgio Germont e Violetta, culminato in un "Dite alla giovine..." cesellato anche grazie al gusto musicale di Temirkanov. Il direttore, alla guida dell'orchestra del Teatro Regio, ha saputo infatti offrire una lettura personale e affascinante di questa partitura – scelta di tempi originale, tratteggio degli impasti timbrici seducente – misurandosi con una compagine strumentale a volte non pienamente pronta a seguirlo, specie nel primo atto. Tra gli interpreti, Svetla Vassileva ha privilegiato una Violetta vocalmente più drammatica e densa che agile e leggera, riuscendo a restituire una visione nel complesso coerente del personaggio. L'Alfredo di Massimo Giordano è parso sostanzialmente corretto e nutrito da un indubbio impegno, mentre il Germont padre di Vladimir Stoyanov è emerso per rara intensità vocale. Alla fine qualche dissenso per la regia e molti applausi per tutti gli artisti.

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