Violetta e la “dolce vita”

Nuovo allestimento della Traviata a Caracalla, con la direzione di Yves Abel e la regia di Lorenzo Mariani

La Traviata ( Foto Yasuko Kageyama)
La Traviata ( Foto Yasuko Kageyama)
Recensione
classica
Terme di Caracalla, Roma
La Traviata
04 Luglio 2018 - 20 Luglio 2018

Non è un’opera da grandi spazie quindi c’era una buona ragione se da mezzo secolo La Traviata non veniva rappresentata sul palcoscenico delle Terme di Caracalla. Ma questa volta si è verificato un piccolo miracolo, che si spiega – oltre che con l’indispensabile amplificazione, ben calibrata e mai invadente – con la presenza sul podio di Yves Abel invece dei vecchi routinier cui si ricorreva un tempo in queste circostanze. Il direttore franco-canadese è ormai un habitué di Caracalla, ha imparato a domarne l’acustica e sa come anche in tali condizioni si possa e si debba dare la massima attenzione alle dinamiche, alla flessibilità del fraseggio, ai colori, ai dettagli: una direzione calcolatissima, millimetrica, quasi cameristica, ma anche viva e teatrale. La sua attenzione andava non solo all’orchestra, che ha risposto in modo pronto e duttile, ma anche ai cantanti, che venivano magistralmente sorretti e indirizzati a un’interpretazione mai plateale ma sempre misurata, mai appiattita su un sentimentalismo buono a tutti gli usi ma sensibile all’evolversi delle situazioni drammatiche.

Kristina Mkhitaryan è l’ennesimo soprano che giunge dalla Russia. Non avrebbero senso appelli nazionalistici per fermare quest’invasione, perché si tratta quasi sempre – in questo caso certamente sì – di artiste con ottimi mezzi vocali e ben preparate. Nel brindisi e in “È strano” la Mkhitaryan si fa apprezzare per il timbro gradevole, le agilità fluide e la dizione irreprensibile, ma si avverte anche che la voce tende al lirico-leggero e si teme che potrebbe incontrare qualche difficoltà nei due atti successivi: ma non è così. Certamente riesce meglio nei momenti più soffusi come “Dite alla giovane” che negli slanci passionali come “Amami, Alfredo”, ma la sua Violetta è completa, ricca di sfumature espressive e anche commovente, come in un “Addio del passato” non melodrammaticamente patetico ma intimamente sofferto.

Alfredo è Alessandro Scotto di Luzio, che canta con gusto e misura, sia merito suo o del direttore; si indovina anche un bel timbro ma l’organizzazione vocale è precaria col risultato che la voce è sempre “indietro” e la salita all’acuto è laboriosa. Nell’argentino Fabián Veloz convivono una vocalità di antica scuola (è un complimento) e un interprete di sensibilità moderna, che non fa di Germont padre un vilain berciante ma un borghese educato e formalmente irreprensibile e tremendamente ipocrita, così perfettamente ipocrita da riuscire ad apparire buono e ragionevole a far apparire in torto gli altri. Di ottimo livello i comprimari, sia che fossero esperti veterani, come Roberto Accurso, Graziano Dellavalle e Domenico Colaianni, sia che fossero giovani del progetto “Fabbrica” del Teatro dell’Opera, come Irida Dragoti, Murat Can Güvem e Rafaela Albuquerque.

Abbiamo lasciato per ultimo – ma vale il detto last but not least – l’allestimento, firmato dal regista Lorenzo Mariani, dallo scenografo Alessandro Camera, dalla costumista Silvia Aymonino e da Luciano Cannito per i movimenti coreografici. Come è ormai regola si è fatta slittare l’epoca dei fatti in avanti, non proprio ai nostri giorni ma ad un passato recente, gli anni Sessanta del secolo scorso, quelli della “dolce vita” romana immortalata da Fellini. Si torna anche un po’ indietro rispetto a Fellini con la Vespa di Audrey Hepburn e Gregory Peck in “Vacanze romane”. E invece si va avanti negli anni con le feste in stile cafonal, come nella “Grande bellezza”, che d’altronde era a sua volta un omaggio a Fellini. Talvolta può essere un po’ gratuito – mai però fastidioso – ma nel complesso funziona benissimo. Togliere le crinoline e le redingote, i velluti e i merletti, le dorature e gli stucchi non può che far bene, avvicinando a noi i personaggi, che, come in ogni capolavoro, sono creature eternamente vive, al di fuori di una determinata epoca.

Molti applausi, ma la durata eccessiva degli intervalli ha fatto finire lo spettacolo a mezzanotte e trenta, quando autobus e metro non circolano più, costringendo molti spettatori ad andar via prima della fine. 

 

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