Valčuha tra Webern e Brahms

Al San Carlo di Napoli riprendono i concerti

Juraj Valčuha
Juraj Valčuha
Recensione
classica
Teatro di San Carlo
Concerto Juraj Valčuha
29 Maggio 2021

È prima pseudo-mistica, ma profonda, con un brano del compositore americano Charles Ives, poi più tornita e melodiosa con Langsamer Satz per orchestra d'archi di Anton Webern e la Sinfonia n. 2 in re maggiore Op. 73 di Johannes Brahms, l'atmosfera che avvolge l’Orchestra del Teatro di San Carlo diretta sabato 29 maggio da Juraj Valčuha, alla prima ripresa della Stagione di Concerti in sala. Profondo studio, dominio tecnico e grande talento. Nel teatro giunge da lontano la voce degli archi, seguita dai legni in una processione sonora con tanto di pianissimi e con acustica propriamente cosmica, in The Unanswered Question, alla sola seconda esecuzione a Napoli, la prima nel 1969 diretta da Feist. Sei minuti di pura esperienza sonora dovuta soprattutto all'utilizzo in scena di una gestualità carica, espressiva, da subito accattivante. Il brano di Ives è di sontuosa sonorità, ed esalta gli affondi dei bassi e lo spessore straordinario dei timbri. Pregevole l'esecuzione, virtuosistica e piena di guizzi sonori, poi sbocciati nuovamente in un raffinatissimo pianissimo. Nel mezzo, Langsamer Satz, ma nella versione per orchestra d’archi, che altera, anche se solo in superficie, il tessuto sonoro orchestrale intarsiato fin lì da Valčuha. Molto tecnico ma anche rituale ed inquieto, consegnato ad un’esecuzione puramente timbrica, dove le sfumature dei bassi finali fanno tutto il pezzo.

 

Ecco nella seconda parte la Sinfonia n. 2 di Johannes Brahms, un concentrato di energia e concretezza esecutiva, accolta da lunghi applausi, forse anche per l’emozione di riessere in Teatro. Valčuha l'ha concertata con piglio di maturo stampo sinfonico, laddove tutte le voci, variazioni, crescendo affioravano, guadagnando alle varie sequenze spessore e compattezza. Un'interpretazione senza veri eccessi o sgrammaticature, non sperimentale bensì di impostazione puramente devota al fraseggio ed alla chiarezza comunicativa della partitura - forse un pizzico in meno di romance ci sarebbe stato, nei ritmi fin troppo impetuosi dell’Allegro, ad esempio. Tuttavia, mille volte meglio così che non con i tempi finalizzati ad un romanticismo interiore qualunque e soprattutto monotoni, come ogni tanto nella musica sinfonica pure capita. Un plauso all'orchestra che ha suonato benissimo, balzante nell’Allegretto, con apici di volumi e grande compattezza nell’Allegro finale, e dove l’Adagio risultava una vera e propria maestria d'insieme.

 

 

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