Uno zar da tv

Scala: Una sposa dello zar diretta da Barenboim, contestata la regia di Tcherniakov

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Nikolaj Rimskij-Korsakov
02 Marzo 2014
Barenboim in stato di grazia ha saputo calibrare alla perfezione il canto spesso declamato con l'orchestra, pur mantenendo costante la tensione lirica; ottime le voci dei quattro protagonisti: Olga Peretyatko (Marfa), Marina Prudenskaya (Ljubaša), Johannes Martin Kränzle (Grjaznoj), Pavel Cernoch (Lykov). Dal punto di vista esecutivo l'opera di Rimskij-Korsakov per la prima volta alla Scala non poteva avere miglior battesimo. La regia di Tcherniakov ha però forzato la mano. La vicenda, che ha la sua ragion d'essere nello stereotipo di una Russia barbarica, superstiziosa, mistica (continui gli appuntamenti religiosi per il Mattutino o il Vespro), è stata trasportata di peso ai giorni nostri in uno studio televisivo. Non per costruire uno spettacolo nello spettacolo (eccetto il finale con Marfa morente e ancora radiosa sui video), ma per chiudere gli addetti del canale tv in un piccolo ufficio dove Grjaznoj-regista non fa che tracannare vodka. Finisce che tutto si riduce a banalità, perdendo per strada quanto di torbido e ingenuo si nasconde nell'opera. E francamente impressiona ascoltare il tema dell'incoronazione del Boris (citata per intero da Rimskij, ma anche variata o con cellule che affiorano spesso) ridotta a colonna sonora per un concorso tipo Grande Fratello. Detto questo, lo spettacolo procede con assoluta coerenza, con gli esiti migliori negli interni del secondo e terzo atto, dove si apre una finestra su una grande parete bianca che occupa l'intero boccascena, che serve anche a proiettare dal computer dello studio tv le immagini delle candidate al concorso di bellezza. Morale della favola: lo zar, che non compare nell'opera, per Tcherniakov nemmeno esiste, viene costruito virtualmente sul computer assemblando volti noti, da Trotskij a Majakovskij, a Eltsin. Il popolo gli è comunque devoto in quanto "addicted" del piccolo schermo. A fine serata grandi applausi agli interpreti e al direttore, con qualche claque di troppo, e insistiti buu al regista (quest'anno poco fortunato al Piermarini dopo La traviata). Tanto di cappello a Barenboim che è rimasto al suo fianco, sollevandogli il braccio in segno di trionfo, a difendere l'allestimento importato dalla Staatsoper di Berlino.

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