Un'anoressica Lucia

Fortemente tagliata la "Lucia di Lammermoor" proposta da Oren, la cui direzione è apparsa spenta e confusa. L'abbinamento con la regia di Vick, pensata per l'opera completa, è stridente. Eva Mei ha debuttato nella parte di Lucia.

Recensione
classica
Teatro dell'Opera Roma
Gaetano Donizetti
21 Febbraio 2003
Ce la siamo cavata presto venerdì 21 febbraio alla prima della "Lucia di Lammermoor" al Teatro dell'Opera di Roma: lo spettacolo diretto da Daniel Oren con la regia di Graham Vick è durato meno di 2 ore. Che fossimo in clima di tagli si poteva già arguire dal programma di sala, in cui il libretto si apriva con il secondo atto, aihnoi intitolato incautamente primo, giudicato lì per lì come un errore di stampa, dal momento che all'inizio sembra tutto a posto: timpano che dà via all'ouverture, poi Normanno e coro che intonano "Percorrete le spiagge serene". Ma da lì in avanti Daniel Oren ha sottoposto l'opera a un'impietosa cura dimagrante. Dalle numerose cabalette sforbiciate, a cominciare da "La pietade in suo favore" cui ha estirpato la ripetizione della strofa, il finale e addirittura la ripresa del coro dimostrando insensibilità musicale, fino al concertato che chiude il secondo atto stravolto al punto che l'insensibilità si tramuta in insipienza. Altro colpo di genio per la scena della torre, recisa di netto a dimostrazione della mancanza di rispetto verso Donizetti compositore e lo scarso amore per il melodramma italiano, la cui storia è stata segnata nel profondo dall'apparire di questa pagina. Da un punto di vista direttoriale il discorso non cambia poi molto. Tanto amato dal pubblico romano -che lo ha applaudito anche in quest'occasione-, Oren dà dell'orchestra un'immagine ribollente, a dire dei suoi estimatori, oppure minestrone, secondo i suoi critici. Nel caso di questa "Lucia" Daniel mette d'accordo entrambi, ottenendo un ribollente minestrone. Che l'articolata strumentazione donizettiana non sia nelle corde di Oren lo avevano già constatato quanti a Roma nel '92 lo hanno visto dirigere sempre la "Lucia". L'interpretazione odierna non sembra lontana da quella di allora, ma più stanca e alle volte anche confusa, come risulta palese da molti stretti. Più complesso il discorso sulla regia di Vick, contestata anni or sono al suo debutto a Firenze ma poi divenuta un classico. Non facile farsene un'idea chiara con almeno un terzo dell'opera tagliata, visto che era pensata sull'intero svolgersi del libretto di Cammarano. Compreso il recitativo tra Normanno e Raimondo "Delator gioisci l'opra tua", di cui Vick ha preteso che restasse un tronco dell'inizio in pantomima, cioè senza musica e canto, sottolineare la sua presa di distanza dalle mutilazioni imposte dal direttore. Attraverso quattro sipari -due verticali, dal basso e dall'alto, e due orizzontali da destra e da sinistra- il regista basava la messa in scena sulla scomposizione degli spazi. Di sfondo un'immaginaria natura delle highlands scozzesi popolate d'erba rossiccia. Simbolo dell'amore romantico della fanciulla di Lammermoor, ecco un'immensa luna in molte scene che tramonta nel duetto Enrico-Lucia. In contrappunto un albero sempre diverso ma comunque privo di fogliame segnala l'arida razionalità di Enrico, Normanno e compagnia che spingono per interesse politico Lucia a nozze non volute. Che mistero, l'albero scompare tra secondo e terzo atto: il suo crollo, uno dei momenti clou della regia, avveniva nella scena della torre, tagliata via di netto, cosicché a noi non è stato dato di vederlo. Il sorgente romanticismo che si scontra con la razionalità è orizzonte attraverso cui Vick affronta ha affrontato l'opera. Altro momento centrale -poteva essere altrimenti?- la scena della follia: usando funzionalmente i quattro sipari Vick chiude la protagonista in una sorta di diaframma che lentamente si apre mentre Lucia, dall'alto della sua pazzia, scende verso terra. Regista orgogliosamente teatrale che concede -per fortuna- molto poco al citazionismo cinematografaro, Vick qui sembra voler ricreare un effetto zoom. È presumibile che vista per intero questa regia avesse una sua compattezza logica. E' lecito domandarsi, e noi siamo costretti a farlo, con che logica la direzione artistica dell'Opera di Roma abbia scelto di abbinare un regista come Vick a un direttore d'orchestra come Oren. Naturalmente i cantanti hanno sofferto di questo stridor d'ingegni: Eva Mei non poteva trovare situazione meno adatta per debuttare nella parte di Lucia. Non canta male Eva, ma la sua interpretazione appare sfocata almeno fino alla scena della follia dove si riscatta, e bene. Meglio di tutti Alberto Gazale, baritono che può affinare la sua tecnica, e che ha donato a Enrico una baldanza giovanile. Sufficiente e non di più Alberto Capuano nel ruolo di Raimondo. Il resto, e molto di quanto detto, meglio obliar.

Interpreti: Eva Mei, Alberto Gazale, Alberto Capuano

Regia: Graham Vick

Orchestra: Orchestra dell'Opera di Roma

Direttore: Daniel Oren

Coro: Coro dell'Opera di Roma

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