Una sposa che viene dal freddo

Un buon livello vocale, soprattutto delle protagoniste femminili, ha segnato il primo allestimento catanese di La sposa dello Zar, risultato per il resto un po' freddino interpretativamente. Pubblico non numeroso e non più che cordiale negli applausi.

Recensione
classica
Teatro Massimo V. Bellini Catania
Nikolaj Rimskij-Korsakov
05 Dicembre 2007
All'ingresso monumentale del Teatro Massimo Bellini, un cannone spara neve dal foyer: la giornata - per Catania - è freddina, ma non rigida, e in scena non va La fanciulla di neve, ma un'altra opera (quella forse più nota in patria, ma molto meno fuori della Russia, tanto da esser proposta in prima catanese) di Rimskij-Korsakov, La sposa dello Zar. Fatto sta che questa neve artificiale raffredda l'esecuzione, la quale ha pure i suoi punti forti nelle voci delle due protagoniste femminili, Irina Samoylova (Marfa) e soprattutto Irina Kostjuk, ottima Ljubasha. Corretti gli altri, una spanna sopra il Sobakin di Mikhail Guzhov, un po' duri nel registro acuto i restanti ruoli principali maschili, ma ciò che manca è in primo luogo varietà e sbalzo teatrale, nonché colori più netti in orchestra, onesta ma poco brillante in una strumentazione che non è certo quella coloristica accreditata spesso all'autore, e assecondante una scrittura vocale abbastanza vicina (senza toccarne le profondità) a quella di Ciaikovskij e a un impianto d'assieme lirico, non-dialogico. Il livellamento della temperatura interpretativa si riflette pure nella regia, che mantiene meno di quanto promette; l'allestimento del teatro Elikon di Mosca non manca tuttavia di alcune zampate, ma rinuncia a costruire una tensione drammatica complessiva, omogeneizzando le scenografie e non sbloccando i personaggi da una certa staticità da opera tradizionale. Pubblico non numeroso e non più che cordiale negli applausi.

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