Una fine violenta per Iphigenie

Il festival estivo di Glyndebourne continua la sua collaborazione con l'Orchestra of the Age of Enlightenment con una lettura forte ed altamente drammatica della Iphigenie minore di Gluck.

Recensione
classica
Glyndebourne Festival Glyndebourne
Christoph Willibald Gluck
19 Maggio 2002
Nella scena finale di questa Iphigénie il corpo senza vita e ricoperto di sangue della principessa, sacrificata nonostante l'intervento di Diana, viene calpestato dall'esercito greco al suono del coro finale, un sinistro canto di guerra bretone il cui ritmo è dettato dall'incessante battere di un tamburo. È una scena quasi macabra, una deviazione dal libretto e della tradizione lirica francese (che richiedeva il lieto fine) le cui ragioni non sono del tutto chiare, ma il cui impatto drammatico è potente ed in cui è sicuramente possibile leggere molto (l'ambiguità del rapporto tra Agamenone e la figlia, la manipolazione politica della religione, la stupidità umana che spinge l'esercito greco a sacrificare una giovane vita?...). Il regista tedesco Christof Loy non fornisce altre indicazioni in quella che è altrimenti una lettura abbastanza tradizionale per quanto ineguale di questo lavoro, non spesso eseguito e quasi considerato l'Ifigenia minore in rapporto alla più popolare Iphigénie en Tauride. Loy gioca con un paio di idee che senza il supporto di una coerente struttura interpretativa si rivelano abbastanza superficiali: i costumi, contemporanei nel primo atto, si spostano nel settecento nel secondo atto, che diventa quasi un divertissement, una metafora per la mascherata che è il presunto matrimonio con Achille, per poi ritornare al contemporaneo nel terzo atto, ma per il resto dal punto di vista della produzione questa Iphigénie non dice molto, non aiutata dalle scene di Herbert Murauer, per la maggior parte una scatola bianca in cui i personaggi si muovono a vuoto, quasi a seguire anch'essi le coreografie spesso senza apparente contenuto di Jochen Heckmann. Loy sembra fare affidamento sugli interpreti, ed in questo è fortunato: Gerald Finley è imponente nel ruolo di Agamemnon, Katerina Karneus fa mostra allo stesso tempo di forza drammatica e dolcezza nel ruolo di Clitemnestre, Jonas Degerfeldt affronta con sicurezza la difficile tessitura di Achille, e Veronica Cangemi è convincente nel ruolo principale, ingenua a tratti e determinata nella sua volontà di sacrificio. La vera gioia di questa produzione è la presenza dell'Orchestra of the Age of Enlightenment, per cui nonostante il numero il termine ensemble deve per forza essere più appropriato: il loro approccio alla partitura è quasi cameristico, ed i solisti emergono all'interno delle varie sezioni senza mai perdere la visione d'insieme. Sotto la direzione di Ivor Bolton, questo è un Gluck visto dalla prospettiva di Handel, non da quella di Verdi, e non ha nulla della ingessata ed impettita monumentalità neoclassica di cui è spesso fatto vittima: gli squadrati disegni melodici che spesso associamo a Gluck spariscono in una lettura in cui ritmi ed accenti si sovrappongono all'interno di un fraseggio variato e di colori strumentali che prestano attenzione ad una orchestrazione la cui sottigliezza non rivela a prima vista gli estremi contrasti drammatici di cui è capace. Così, nonostante il minimalismo della scena, questa è una Iphigénie ricca di emozioni e di dramma, ed una menzione particolare merita il coro del Glyndebourne Festival, che svolge la sua funzione, considerevole in questa partitura, quasi con virtuosismo. La versione utilizzata sembra essere un ibrido tra la versione riveduta del 1775, con l'intervento in scena di Diana, deus ex machina che salva Iphigénie e ne benedice le nozze con Achille, e quella del 1774, in cui dopo che il sacrificio è stato interrotto dall'intervento di Calchas Gluck inserisce un coro su di una melodia popolare, un contrasto stilistico estremo che forse nascondeva una certa ironia. Ma in questa produzione di ironia non vi è traccia, e l'immagine violenta dell'ultima scena non lascia dubbi sul fatto che ad aprirle con attenzione, le opere di Gluck possono rivelarsi ben altro che bomboniere.

Interpreti: Cangemi, Degerfeldt, Finley, Karnéus, Arnet

Regia: Christof Loy

Scene: Herbert Murauer

Costumi: Bettina Walter

Coreografo: Jochen Heckman

Orchestra: Orchestra of the Age of Enlightenment

Direttore: Ivor Bolton

Coro: The Glyndebourne Chorus

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Successo per Beethoven trascritto da Liszt al Lucca Classica Music Festival

classica

Non una sorta di bambino prodigio ma un direttore d’orchestra già maturo, che sa quello che vuole e come ottenerlo

classica

Napoli: per il Maggio della Musica