Tosca squilibrata

Recensione
classica
Gran Teatro La Fenice Venezia
Giacomo Puccini
14 Maggio 2002
A volte è il mancato rispetto dei giusti equilibri, su cui dovrebbe fondarsi un allestimento operistico, a rendere evidente quanto essi siano importanti per la riuscita dello spettacolo. L'allestimento scenografico di questa sera, infatti, proprio perché inadeguato ha riconfermato, paradossalmente nella sua sostanziale negazione, la forza con cui un apparato scenico può condizionare la comprensione di un melodramma. Non è stata, innanzi tutto, felice la scelta di sviluppare in senso orizzontale la costruzione: iniziativa ingenua, questa, in quanto alla grande estensione in larghezza non corrisponde nel PalaFenice un'altrettanta profondità per accogliere il pubblico che, quindi, ha fatto fatica ha comprendere in un solo colpo d'occhio i quadri nella loro interezza. Tanto più che alle due estremità di questa "scena allargata" si aprivano delle porte, da cui uscivano di volta in volta: fedeli in processione, suore, frati, popolani ubriachi, tutti passavano sostanzialmente inosservati, e a ragione, perché il dramma era comunque situato in pieno palcoscenico. Insomma tante scenette pittoresche, ma del tutto inutili, se non addirittura dissonanti con i veri contenuti della "Tosca" di Puccini, che, invece, si presenta, anche musicalmente, come una "questione a tre": Tosca, Cavaradossi, Scarpia. Alla scenografia imponente e dispersiva si è accompagnata, come già accennato, una regia incolore, che ha commentato la grande espressività del testo pucciniano in maniera superficiale, ricorrendo ad espedienti grossolani (vedi Tosca che troneggia in piedi sul tavolo dopo aver ucciso Scarpia). Mancanza dei giusti equilibri anche dal punto di vista dell'esecuzione musicale: vuoi per l'abitudine di Maurizio Arena di dirigere gli spettacoli all'arena di Verona, o per la costruzione scenica che rifletteva parte del suono, sta di fatto che l'orchestra di questa sera era troppo in rilievo, suonava decisamente forte, Arena, poi, ha restituito una direzione senza personalità, sciatta. I cantanti, poco affiatati tra loro e con l'orchestra, hanno fatto la loro parte senza, tuttavia, scuotere le emozioni (grave per un'opera come "Tosca"). Su tutti è emersa Elisabete Matos (Tosca) che, comunque, non ha mai cantato in "piano", forse per tentare di sovrastare l'orchestra. Antonio Salvadori (Scarpia) non ha saputo restituire un personaggio veramente malefico e penetrante, scarsa la sua presenza scenica, la voce è sembrata vuota, priva di carattere. Più impegnato sulla scena, Cesar Hernandez (Cavaradossi) non ha sempre risposto adeguatamente alle sollecitazioni virtuosistiche che caratterizzano la scrittura vocale affidata al suo personaggio. Calorosi applausi dei "pucciniani" affezionati.

Note: nuovo all.

Interpreti: Matos, Hernandez, Salvadori, Maini, Pellisero

Regia: Bepi Morassi

Scene: Massimo Checchetto

Costumi: Bepi Morassi e Massimo Checchetto

Orchestra: Orchestra del Teatro La Fenice

Direttore: Maurizio Arena

Coro: Coro del Teatro La Fenice

Maestro Coro: Guillaume Tourniaire

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