Torpido "Capriccio"

Recensione
classica
Teatro Regio Torino
Richard Strauss
08 Ottobre 2002
Oggi noi di studi sui libretti d'opera e di "Prima la musica e poi le parole" siamo saturi. Bastaaa! Ma bisogna avere pazienza, e ricordarci che quando Stefan Zweig "scoprì" nella British Library di Londra il libretto di Casti e ne scrisse entusiasta a Richard Strauss, non c'erano stati vent'anni di librettologia e di regie d'opera che su musica e parole irruppero pure con le loro terze ragioni. Nel '35 i nazisti uccisero artisticamente Zweig, impedendogli in quanto ebreo di lavorare in Germania; nel '44 Zweig si suicidò in esilio. Nel '42 a Monaco, diretta da Clemens Krauss che con Strauss aveva preparato il libretto, andò in scena "Capriccio", una "conversazione per musica in un atto" che divenne il testamento operistico del vecchio maestro. Due ore e mezza di conversazione salottiera settecentesca su cosa debba essere un'opera, su cosa si debba fare con la musica. Ci si siede, e si sta sotto questa pioggia di parole cantate. Citazioni di dispute settecentesche, di Goldoni Rameau Couperin Gluck. Una delizia di gusto. Raffinatezze. Il sestetto iniziale è incantevole, un'altra variabile indipendente di questa non-opera sull'opera. La contessa Madeleine è l'unica che effettivamente canta: alla prima della stagione del Teatro Regio (imbottita di cupi torinesi mal vestiti e frustrati nelle patetiche aspirazioni mondane in foyer dall'attone unico senza intervalli), Elizabeth Whitehouse era brava. La regia di Jonathan Miller si è vista nelle luci, molto belle, realizzate con Andrea Anfossi e Peter Davison, e in un iniziale viavai di teatro-nel-teatro insopportabile sul sublime sestetto, dove quelle parti dell'Orchestra del Regio, sotto la direzione raffinata, leggiadra di Jeffrey Tate, hanno mostrato di amare l'arte. Qualche cretino saluto nazista di qualche comparsa ha presto lasciato all'ex-scandaloso regista la dura fatica di lasciare seduti in salotto i cantanti per il resto del tempo, senza troppo di troppo e con niente di niente da vedere in una non-opera senza azione su cui effettivamente si poteva far molto (lui: niente!). La contessa è amata da due artisti, e si ama narcisa davanti allo specchio, indecisa su chi non amare di più o di meno. Poi, tutta sola in quella pace aristocratica, va a mangiare la minestra. L'arte, aveva raccomandato Strauss, sta alla finestra: racconto del vero, dell'umanità, bellezza e armonia in un mondo orribile. "Capriccio", con raffinato pallore, è deliziosamente intorpidito nella sua morale.

Note: versione in lingua tedesca, nuovo all., prima esecuzione a Torino

Interpreti: Elizabeth Whitehouse, Olaf Bär, Jonas Kaufmann, Claudio Otelli, Doris Soffel, Franz Hawlata, Peter Keller, Lillian Watson, Valeryi Serkin, Michael Busch. Tre strumentisti: Stefano Vagnarelli violino, Relja Lukic violoncello, Carlo Caputo clavicembalo

Regia: Jonathan Miller

Scene: Peter Davison

Costumi: Sue Willmington

Coreografo: Tiziana Tosco

Orchestra: Orchestra del Regio

Direttore: Jeffrey Tate

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