Splendori dell’arpa romana
Un’originale linea di ricerca e di prassi musicale diventa il progetto esecutivo Harpa Romana
25 novembre 2025 • 3 minuti di lettura
Firenze, Cenacolo di Andrea del Sarto
Harpa Romana
23/11/2025 - 23/11/2025Scriviamo di questo concerto per il piacere musicale che ci ha riservato, ma anche perché illustra esemplarmente i problemi, le questioni, le sfide ma anche i risultati che caratterizzano tanti progetti nel mondo della musica antica. Si tratta di trovare la strada fra quello che si sa, dalle fonti musicali manoscritte e a stampa e dalla trattatistica (soprattutto Giovanni Battista Doni), e quello che non si sa, ma si può reinventare, in una sorta di identificazione mimetica con i musicisti di allora, con ciò che si presume sapessero fare gli eccellenti e assai noti arpisti, liutisti e compositori evocati in questo concerto: Orazio Michi detto “dell’Arpa”, Girolamo Frescobaldi che entra in gioco per una sua deliziosa toccata “per spinettina sola o per liuto” - in base al noto principio dell’interscambiabilità fra strumenti a corde pizzicate “perfetti” cioè capaci di armonie piene – e poi Andrea Falconieri, Luigi e Giancarlo Rossi, figure centrali di una famiglia di arpisti noti in tutta italia, Lelio Colista, Stefano Landi, Marco Marazzoli, più alcuni pezzi non attribuiti. In questo caso si tratta dello strumento barocco noto come “arpa doppia”, quella nota anche dall’Orfeo monteverdiano.
Si sa che i continuisti italiani sapevano lavorare di improvvisazione e fantasia su una linea di basso generalmente non numerata, scritta sotto il canto quando il canto c’era (è così anche per molte partiture d’opera dell’epoca), e dunque i musicisti che praticano il repertorio del Seicento italiano sono abituati di necessità a integrare quello che non c’è, realizzando le armonie e evidenziando caratteri, profili ritmici, variazioni. Ma in questo caso ci aiuta anche la ricostruzione di un ambiente, a partire cronologicamente dalla Roma di Urbano VIII, e anche dei papi successivi. Giacché soprattutto a Roma all’arpa si tributava un vero culto, per le sue qualità di pienezza appagante, più volte sottolineata dai trattatisti e dalle cronache degli spettacoli, dei concerti e delle feste (pensiamo alla celebre naumachia di Piazza Navona allagata per l’occasione, in cui proprio un arpista era alla prua della nave), e anche perché, a livello mitico e simbolico, era la controparte moderna della lira di Orfeo. Ma forse anche del salterio dei salmi, e questo spiegherebbe perché in ambito romano troviamo curiosamente l’arpa associata a momenti di vita religiosa anche privata, e a pratiche devozionali come le Quarant’Ore. Tutto questo e molto altro abbiamo saputo nella conversazione introduttiva premessa al concerto vero e proprio in cui Riccardo Pisani, tenore, e il trio di arpe doppie La Smisuranza, Chiara Granata, Marta Graziolino e Elena Spotti, hanno eseguito una sequenza di brani degli autori citati.
Come sempre la riscoperta di una porzione ignorata del nostro Seicento colpisce per l’oscillazione fra brani diversi per carattere e struttura. Pezzi “facili” ma con ben risolte ambizioni d’eleganza, come la canzonetta del tipo metrico alla Chiabrera sul tipo delle “Nuove Musiche” di Caccini, qui, ad esempio, la deliziosa “Più non armi la mia lira” di Orazio Michi, in cui un amante si dichiara stufo del “mostro di beltà” che continua a strapazzarlo, o la sbarazzina “E pur volsi innamorarmi” di Marco Marazzoli; e pezzi e testi che riflettono altre condizioni di spirito della Roma gaudente, sì, ma controriformistica e necessitante di compunzione religiosa, come “Infelice mia vita” sempre di Orazio Michi” e “O che sempre mi scordi del nulla ch’io sono”, sempre di Marazzoli. Come noto, questo primo e medio Seicento italiano colpisce anche per le forme in evoluzione verso strutture non ancora definite, con una grande libertà di trattamento di ariosi che non sono ancora arie e declamati più rapidi e accentati che non sono ancora recitativi, come avverrà poi con la successione di recitativi e arie della cantata da camera. Anche nei pezzi strumentali si trovava la stessa alternanza, fra la linearità della canzona come il pezzo anonimo che apriva il concerto e pezzi sui consueti bassi di danza, e le fantasiose e virtuosistiche toccate, come quella di Frescobaldi. Esecuzioni molto belle, con la grintosa pienezza delle tre arpe doppie e la suadente valorizzazione dei testi del canto. Ottimo successo.