Senta, l’Olandese e i loro doppi

Il Teatro La Fenice presente un nuovo ma poco convincente allestimento di “Der fliegende Holländer” di Wagner

Der fliegende Holländer (Foto Michele Crosera)
Der fliegende Holländer (Foto Michele Crosera)
Recensione
classica
Teatro La Fenice, Venezia
Der fliegende Holländer
22 Giugno 2023 - 04 Luglio 2023

Sarà anche vero che il nome di Richard Wagner fa vibrare una corda nel pubblico veneziano per via del suo rapporto del tutto speciale con la città, ma nei cartelloni del teatro lirico veneziano le opere del compositore continuano a essere davvero merce rara. Per questo è più che benvenuta la decisione del Teatro La Fenice di chiudere la prima parte della stagione che precede la tradizionale pausa estiva con Der fliegende Holländer, che, a dispetto della sua maggiore praticabilità rispetto alla metrica ipertrofica delle altre opere wagneriane, è curiosamente un titolo molto poco frequente nelle stagioni del teatro: sono infatti solo tre gli allestimenti veneziani (nel 1961, nel 1972 e nel 1995, per gli amanti della storia come sempre accuratamente documentata nel programma di sala da Franco Rossi) e tutti nella storica produzione di Wieland Wagner anche se con regie diverse nelle varie riprese. Questa nuova edizione archivia definitivamente il vecchio allestimento ma, ancora una volta, contraddice la pratica ormai comune, almeno nei paesi di lingua tedesca, di presentare l’opera senza interruzioni secondo la volontà del compositore, prevedendo una pausa alla fine del primo atto.

Tocca quindi al polacco Marcin Łakomicki cimentarsi con la prima opera del catalogo ufficiale del compositore sul palcoscenico del teatro veneziano nel suo nuovo allestimento coprodotto con il Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia. Rifiutando ogni lettura psicanalitica dell’opera, dichiara il regista: “Nella mia lettura due mondi, quello maschile e quello femminile, si contrappongono … E questo si ripercuote anche nell’allestimento che ho immaginato: a mio parere ciò che avviene nel primo atto è raccontato dalle donne nel secondo. Perché chi racconta ha il potere sulla storia e sulle vite di quelle figure ‘pirandelliane’, se vogliamo chiamarle così, che vivono al suo interno.” Idee chiare, dunque, almeno sulla carta. La realizzazione, che segue diligentemente i canoni consueti e poco ispirati del moderno teatro di regia senza particolari impennate creative, trasporta la vicenda in un presente piuttosto indefinito soprattutto nei costumi di Cristina Aceti e in una scenografia antinaturalistica e “bicefala” di Leonie Wolf, vagamente realistica nel primo atto, con lo scheletro del vascello di Daland contro una parete di geometrici scogli basaltici, e più astratti nel secondo e terzo, con un gioco di cornici concentriche che verosimilmente alludono al quadro dell’Olandese dal quale Senta è fatalmente attratta. Se il primo atto è svolto con una certa linearità, a parte qualche enigmatico doppio e processioni di candide fanciulle in fiore, nel secondo l’intenzione diventa più chiara ma la realizzazione più confusa e pasticciata, con un profluvio di doppi nel finale che vogliono dire (e lo dicono fin troppo) che Senta e l’Olandese si innamorano soprattutto dell’immagine dell’altro. Morale: fra il dire il fare c’è di mezzo il mare, e in questo allestimento proprio il mare, così presente in quest’opera wagneriana, è il grande assente.

Anche sul piano musicale non tutto funziona come deve. Nel cast, manca soprattutto un Olandese convincente, poiché Samuel Youn ha certamente il mestiere ma difetta nel colore vocale, nella linea interpretativa e nella resa credibile del personaggio. Decisamente più riuscita, particolarmente sul piano scenico (ma non è certo la giovane fanciulla sognatrice pensata da Wagner), la Senta di Anja Kampe, anche se fiati e soprattutto acuti forzati inesorabilmente indicano che ormai il ruolo le va un po’ stretto. Anche il Daland di Franz Josef Selig mostra ormai i segni del tempo ma la consuetudine con la pratica vocale wagneriana e il solido professionismo compensano ampiamente. Al debutto invece i due tenori in campo, Toby Spence come Erik non è favorito dal timbro chiaro e dalle bizzarre invenzioni registiche ma supera dignitosamente la prova, mentre Leonardo Cortellazzi come Steuermann non passerà probabilmente negli annali del canto wagneriano ma risolve ottimamente il ruolo (e specialmente “Mit Gewitter und Sturm aus fernem Meer” nel primo atto) in una accattivante chiave lirica. Chiude la locandina la poco incisiva Mary di Annely Peebo. Corposi ma non sempre precisi gli interventi del Coro del Teatro La Fenice rinforzato con i membri del Coro “Taras Shevchenko” del Teatro Nazionale di Opera e Balletto dell’Ucraina, coinvolto grazie al sostegno del governo italiano come gesto concreto di solidarietà verso gli artisti di un Paese in grave difficoltà. Sul podio dell’Orchestra del Teatro La Fenice, Markus Stenz impone sonorità spesso esuberanti e un ritmo spedito e febbricitante fin dall’Ouverture con qualche sbandamento negli ensemble e più di una imprecisione nei fiati. Altrove, invece, il passo si slenta senza una convincente o almeno intelligibile idea di drammaturgia musicale. Ed è tanto più sorprendente che solo pochi giorni prima lo stesso direttore abbia firmato una smagliante esecuzione con la stessa orchestra di Ein Heldenleben di Richard Strauss.

Malgrado i diversi limiti di questa nuova produzione, il pubblico non è mancato nelle cinque recite del cartellone, salutate tutte con calore (e solo qualche contestazione al team registico alla prima). E forse è vero che la corda wagneriana ancora vibra a Venezia.

 

 

 

 

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Bologna: il nuovo allestimento operistico dell’Orchestra Senzaspine ha debuttato al Teatro Duse

classica

Successo per Beethoven trascritto da Liszt al Lucca Classica Music Festival

classica

Non una sorta di bambino prodigio ma un direttore d’orchestra già maturo, che sa quello che vuole e come ottenerlo