Sant'Anna Arresi 2 | Altri grandi

Salta l'atteso concerto di Cecil Taylor per problemi di salute

Recensione
jazz
A chi si meravigliava che a novant'anni letteralmente suonati, e ancora professionalmente in attività, continuasse a fumare sigari come un turco, Eubie Blake, pioniere afroamericano del pianoforte jazz, rispondeva: «beh, se avessi immaginato che sarei campato così a lungo mi sarei riguardato di più». È un aneddoto che negli anni, fra i Novanta e il nuovo millennio, mi è capitato spesso di sentir ripetere da Cecil Taylor quando in diverse occasioni - penso a Pescara e Berlino, a Ruvo di Puglia e, nel 2003, proprio a Sant'Anna Arresi - assieme al fotografo e mio e suo amico Luigi Zanon mi è capitato di essere non esattamente un interlocutore, meglio dire un testimone, di ore e ore di suo monologare, se possibile tre-quattro volte più fluviale della sua musica (ricordo una cena a Ruvo nel 2000 in occasione del primo incontro Taylor/Italian Instabile Orchestra: ci sedemmo a tavola alle otto; groggy dopo un infinito inanellarsi di storie e pensieri, dall'orchestra di Jimmy Lunceford vista da bambino alla politica di Bush, da perfidie su Coleman e Mingus ai ponti di Calatrava, mi sentii chiedere se avevo letto Derrida: risposi farfugliando qualcosa su Spettri di Marx; alle due di notte, vedendo che Cecil non mostrava nessun segno di cedimento, e continuava come un treno fra una sigaretta e un sorso di champagne, sfinito diedi forfait).

L'aneddoto mi è tornato in mente quando si è saputo dell'annullamento, all'ultimo momento, per ragioni di salute, dei due concerti di Taylor a Ai confini tra Sardegna e jazz e a Willisau. Che Taylor si identificasse con Eubie Blake, col suo vitalismo, con la sua longevità artistica e di uomo, con quel che di sfida al destino, era evidente. Ho sempre visto Cecil, in scena e anche in quel pochino di dietro le quinte e di suo privato che ho avuto il privilegio di incrociare, come una certezza di forza, di energia, di determinazione. Faccio fatica a pensarlo fuori combattimento. Non oso considerarlo alle prese con la decadenza fisica, con la malattia. Preferisco ipotizzare che in ballo ci siano magagne del suo management (Cecil è proverbiale per il turbillon di manager effimeri, spesso improbabili, un turn over indicativo del suo non voler avere padroni e vincoli). O - meglio ancora - preferisco immaginarlo che scola bottiglie di champagne che gli piace tanto, brindando alla salute del Kyoto Price che gli è stato appena attribuito, qualche centinaio di migliaia di euro.

Ma so anche che per Cecil l'Europa è importante, che non ha occasione di suonarci spesso, e che anche lui sa che gli anni passano. Quindi temo che abbia davvero dei guai di salute. Mi risulta, anche se non è ufficiale, e mi consola, perché vorrebbe dire che i problemi di Cecil non sono particolarmente gravi, che Willisau abbia già riprogrammato il suo concerto per novembre. Ma insomma, neanche gli eroi sono eterni, e quello che è avvenuto a maggior ragione ci dice quanto avessero fatto bene Sant'Anna e Willisau a mettere in cartellone un monumento come Cecil Taylor.

Ieri a Sant'Anna è arrivato Amiri Baraka. Mi è capitato di vederlo diverse volte negli ultimi anni, e due mesi fa a Bologna era andato a salutarlo in camerino, dopo la sua performance proposta nell'ambito della celebrazione della strage di Ustica. Ma è stato ieri sera, scesi dalla macchina di Pino Saulo di Rai 3, camminando verso la piazza del Nuraghe, che ho avuto la percezione della fragilità del gigante Amiri. Mi faceva impressione e tenerezza pensare a come quell'uomo piccolo di statura, oggi anche incurvato da quasi ottanta primavere, sia stato un intellettuale, un polemista, un attivista che intimidiva, che metteva in soggezione, ad un certo punto addirittura una delle più importanti figure politiche del mondo afroamericano alla stregua di Malcolm X e di Martin Luther King. Non solo il poeta. Stamattina chiacchierando ironizzava su Obama, che prima di diventare presidente, in occasione di un meeting, lo vide seduto in platea e si alzò per andarlo a salutare, e rivolgendoglisi gli disse: «The poet» (su Obama c'è una sua recente e tagliente poesia, che ha proposto a Bologna). Amiri è stato ed è molto di più.
Ieri sera, contento di vedersi circondato di premure, oggetto di un continuo pellegrinaggio di persone che andavano a stringergli la mano o a fargli firmare una copia di Il popolo del blues, ha seguito divertendosi molto la performance della Exploding Star Orchestra di Rob Mazurek, consacrata ad un personaggio quanto mai caro a Baraka, Sun Ra. Alla fine ha voluto andare a salutare i musicisti, a complimentarsi. Con la sincera solennità che gli è tipica, Mazurek gli ha detto: «Sei una grande ispirazione per tutti noi». Non si erano mai conosciuti di persona, Baraka, icona afroamericana, e Mazurek, jazzman chicagoano bianco oggi sulla cresta dell'onda. Anche a questo servono i festival, e a proporre senza perdere tempo i veri grandi dei nostri tempi, giovani e vecchi.

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