Sant'Ambrogio nazionalpopolare per la prima della Scala

"A riveder le stelle", la prima televisiva del Teatro alla Scala, è una parata di star senza un percorso narrativo

Sant'Ambrogio nazionalpopolare per la prima della Scala
Ildar Abdrazakov (Foto Brescia e Amisano)
Recensione
classica
Teatro alla Scala, Milano
A riveder le stelle
07 Dicembre 2020

Fatti salvi i cantanti, tutti, e l'attenta direzione di Riccardo Chailly per l'antologia lirica, quella di Michele Gamba per i balletti e le buone intenzioni del regista Davide Livermore, qualsiasi resoconto del montaggio televisivo del 7 dicembre alla Scala comporta un certo imbarazzo.

Le arie strappate alla partitura, che non hanno rispettato la retorica del concerto di canto e sono state costrette in scenografie improvvisate di pochi minuti, non hanno formato alcun percorso narrativo. Gli interventi di prosa sparsi qua e là, con Massimo Popolizio e alcuni volonterosi giovani attori, sono risultati più associazioni libere che suture e hanno ancor più scombinato le carte. Non è bastato citare la lettera di Montale alla sua adorata Mosca o gli occhi della morte evocati da Pavese, o un brano da Le roi s'amuse di Victor Hugo dove inspiegabilmente Rigoletto è interpretato da una donna, l'impianto da schizofrenico ne è uscito peggiorato. Così è successo che "Regnava nel silenzio" della mancata Lucia di Lammermoor inaugurale, mirabilmente cantata da Lisette Oropesa, ha perso il mistero gotico dell'apparizione del fantasma per attirare l'attenzione su un bel vestito e una spiaggia mediterranea fuori stagione. È accaduto lo stesso coi tre brani dal Don Carlo, trapiantati nel vagone di epoca staliana ricuperato dal barocco Tamerlano (Scala 2017, regia di Livermore), con interpreti d'eccezione come Ildar Abdrazakov, Ludovic Tézier, Elīna Garanča, hanno creato uno stridore fra epoche diverse (Verdi, Stalin, Haendel) e fatto solo sognare cosa avrebbe potuto essere una messa in scena "normale". Altre situazioni a dir poco sconcertanti, le due arie donizettiane (Rosa Feola, Juan Diego Flórez), le uniche di opere buffe in tutta la serata, come omaggio a Fellini (Scala 2004 regia Livermore), quelle del Ballo in maschera (Eleonora Buratto, George Petean, Francesco Meli) con un fondale tipo Uccelli di Hitchcock seguito dallo studio di un presidente Usa (Scala 2013 regia Michieletto), il comizio di Jago (Carlos Álvarez) che canta il suo "Credo" nichilista in un comizio davanti alla Casa Bianca in fiamme, seguìto dall'altro comizio di Gerard in "Nemico della patria" con il carismatico Placido Domingo in una selva di microfoni d'epoca, ridotti tutti a siparietti di dubbio gusto e slegati fra loro. Ogni tanto sul palco compaiano le passerelle di legno sul velo d'acqua di Katia Kabanova (Scala 2006 regia Carsen), ma non serve il bel ricordo a rallegrare. Chi s'aspettava il “Winterstürme” dalla Valchiria è rimasto deluso, perché è stato cancellato dal programma.

Comunque, prima del gran finale col settetto catartico del Guglielmo Tell (Eleonora Buratto, Rosa Feola, Marianne Crebassa, Juan Diego Flórez, Luca Salsi, Mirko Palazzi), Livermore è comparso di persona per evocare lo storico concerto di Toscanini alla riapertura del teatro nel 1946, presentandolo come momento di riconciliazione fra opposte fazioni (ammiccamento alle trame politiche contemporanee?), ma dimenticando che si era trattato della celebrazione della vittoria sul nazi-fascismo e della volontà di voltar pagina senza dimenticare. Alla fine chi ha avuto la meglio è stata Milano ripresa dall'alto, all'inizio e alla fine, uno sfondo emozionante, dove tuttavia i presentatori di Rai 1, Milly Carlucci e Bruno Vespa, sono parsi pesci fuor d'acqua. Insomma la Scala non è quella che è apparsa in televisione il 7 dicembre 2020, se si voleva evitare il pericolo di uno spettacolo nazional-popolare di scarso livello ci si è caduti dentro a piedi giunti. Lo spettacolo è stato seguito su Rai1 da 2.608.000 spettatori con il 14.7% di share.

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