Santa Cecilia con Mikko Franck a Roma e poi in tournée

Un programma apparentemente eterogeneo ma percorso da un (sottile) filo comune: il Mediterraneo  e l’Italia

Mikko Franck  e Sol Gabetta
Mikko Franck e Sol Gabetta
Recensione
classica
 Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Parco della Musica
Mikko Franck e Sol Gabetta
18 Ottobre 2018 - 20 Ottobre 2018

Dopo l’inaugurazione con Pappano e West Side Story, per il secondo concerto della stagione dell’Accademia di Santa Cecilia è il principale direttore ospite Mikko Franck a salire sul podio, con un programma di repertorio, ma da non prendere sottogamba, tanto più che dopo le tre serate romane questo concerto sarà replicato in tournée a Verona, Brescia, Milano, Monaco di Baviera e Bregenz.

In un anno di collaborazione il direttore finlandese ha già stabilito un ottimo feeling con i musicisti dell’orchestra e soprattutto ha conquistato la simpatia del pubblico grazie ad un temperamento esuberante, che lo porta a privilegiare sonorità possenti e sfavillanti, in cui si tuffa a capofitto con risultati di grande e immediato impatto drammatico, quasi teatrale. Si sarebbe tentati di definirlo un tratto tipicamente mediterraneo e italiano, se non fosse che da una parte molti dei più grandi interpreti musicali italiani si sono sempre distinti per autocontrollo, misura e razionalità e che dall’altra parte questa tendenza di Franck alle sonorità forti e squassanti ha ben poco di solare ma è in funzione di una buona dose di cupo tragico pessimismo. L’introduzione a Romeo e Giulietta di Čajkovskij era rivelatrice: raramente l’abbiamo ascoltata così cupa e buia e nera, non era un’introduzione all’ambiente medioevale della vicenda shakespeariana ma conteneva già la conclusione tragica e disperata, portando dallo sfondo al primo piano il suono cupissimo dei contrabbassi e dei corni, per non parlare del breve intervento del trombone basso. La sua interpretazione riviveva con pari intensità anche il successivo Allegro: le grandi frasi d’amore tra i due giovinetti erano già disperate fin dall’inizio e anche dei momenti descrittivi veniva messa in rilievo la drammaticità più che l’effetto, come nello scontro tra Capuleti e Montecchi poco dopo l’inizio dell’Allegro, laddove con Gergiev sul podio sembrava di sentire il cozzare metallico delle spade. Un’interpretazione profonda, bellissima.

Seguiva il Concerto per violoncello di Lalo, un tempo nel repertorio di ogni grande violoncellista, oggi piuttosto raro. L’estrema difficoltà tecnica non ha fatto tremare Sol Gabetta, che ha fatto cantare il suo strumento con colore, purezza di suono, precisione assoluta, ma è stata messa un po’ in difficoltà dall’amore di Franck per le sonorità piene e poderose, che avrebbero soverchiato qualunque violoncellista. Nel secondo movimento - Intermezzo– sonorità orchestrali eccessive erano praticamente rese impossibili dalla partitura stessa e il risultato è stato delizioso, soprattutto nell’Allegro, con i suoi ritmi e i suoi colori elegantemente provenzali o forse spagnoli, insomma mediterranei. Nel bis,Elegie di Fauré nella trascrizione di Pablo Casals, la Gabetta ha chiamato l’intera fila dei violoncelli a unirsi a lei.

La Sinfonia n. 2 di Sibelius, che chiudeva il concerto, aveva anch’essa qualcosa di mediterraneo, perché fu composta a Rapallo dal compositore finlandese, che era innamorato dell’Italia. I suoi compatrioti riconoscono in questa musica l’influsso della luce e dei colori della nostra terra, mentre noi vi vediamo gli spazi ampi, piatti e nebbiosi della Finlandia. L’interpretazione di Franck non sembrava (giustamente) interessata ad avvalorare l’una o l’altra di tali opinabili idee e ne ha offerto piuttosto una lettura severa, petrosa, priva di sentimentalismo, come era è effettivamente l’uomo e l’artista Sibelius.

L’orchestra ha risposto ottimamente con sonorità piene, pastose, avvolgenti e il pubblico non ha certamente lesinato gli applausi.  

 

 

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