A Salisburgo va in scena il duello fra Händel e Porpora

Alcina e Polifemo oltre a concerti dedicati alle “Voci celesti” di Farinelli e altri celebri castrati al Festival di Pentescoste della città austriaca 

Alcina
Alcina
Recensione
classica
Salisburgo
Festival di Pentecoste
07 Giugno 2019 - 10 Giugno 2019

Di celebri rivalità è costellata la storia della musica. Rivalità molto spesso costruite come meccanismo di promozione quando non di vero e proprio marketing. Quella fra Händel e Porpora fu costruita in buona parte per motivazioni, per così dire, commerciali, nella fattispecie per rompere il monopolio operistico detenuto dal compositore sassone e dalla sua Royal Academy of Music. Nel 1729 Nicola Antonio Porpora viene nominato a capo dell’Opera of Nobility e si scatena la guerra delle ugole. Il celebrato maestro di tanti divi dell’epoca, porta alcuni fra i migliori della sua scuderia vocale e si scatena una guerra fra ugole o di voci celesti, tema della rassegna, che il volubile gusto del pubblico londinese e la prevedibile catastrofe finanziaria a venire decreterà conclusa in poco più di un lustro. Ma come spesso accade nei regimi di libera concorrenza, quella rivalità artistica produsse alcuni indiscutibili capolavori, due dei quali hanno rappresentato il piatto forte dell’annuale Festival di Pentecoste a Salisburgo: l’Alcina di Georg Friedrich Händel e il Polifemo di Nicola Antonio Porpora. 

Come Ariodanteopera proposta al festival due anni fa, anche Alcina, tenuta a battesimo al Covent Garden nel 1735, risponde al tentativo di Händel di cogliere le sfide del tempo rilanciando sul piano della spettacolarità: macchine teatrali prodigiose per servire al meglio la “maraviglia”, orchestrazione raffinatissima, cori (veri) integrati nell’azione così come i balli. E ovviamente stelle del canto per protagonisti: quella indiscussa di Giovanni Carestini, nei panni del paladino Ruggiero, e quella più discussa di Anna Maria Strada in quelli della maga Alcina, oggetto di giudizi non proprio lusinghieri come quello del poeta e librettista Paolo Rolli che di lei parlò come di una “copia della Faustina [Bordoni] dalla voce e dall’intonazione migliori, ma senza il fascino e il brio di quella” per tacere di quella bruciante del cronista viaggiatore Charles Burney secondo cui “aveva così poco della Venere nell'aspetto che veniva comunemente chiamata il maiale”. Il tempo ha giocato a favore di un ruolo che, pur non privo degli ingredienti di base del canto barocco, insiste piuttosto su un ritratto a tutto tondo della protagonista e, in questo, perfetto per primedonne, fin dalla riesumazione in tempi moderni della “stupenda” Joan Sutherland nel 1957. 

Altra primadonna indiscussa, specie a Salisburgo, era la padrona di casa Cecilia Bartoli, che tornava in grande forma vocale al ruolo della maga ariostesca a cinque anni dal debutto zurighese. Come allora, anche a Salisburgo ruotava intorno alla sua protagonista il nuovo allestimento firmato dalla coppia Damiano Michieletto e Paolo Fantin come una favola nera ambientata in un interno “doppio”. Una grande parete semitrasparente divideva un interno domestico rivelando l’incubo dietro la superficie specchiante, rivelando le vittime degli incantesimi della maga e, come un “memento mori”, riflettendo l’immagine dell’ineluttabile decadenza della maga. Il virtuosismo scenografico, da sempre il marchio di fabbrica di Fantin (ancora una volta servito benissimo dal superbo disegno luci di Alessandro Carletti “espanso” nei video di rocafilm) serviva efficacemente l’idea di Michieletto di svelare il castello di illusioni messo in piedi della maga attraverso la progressiva smaterializzazione degli elementi scenici fino al vuoto nero riempito dagli infiniti frammenti dello specchio infranto da Ruggero ossia la fine simbolica dei poteri magici di Alcina. Se la strega di Biancaneve, Grimilde, rivela subito di che pasta è fatta, l‘Alcina di Michieletto rivela invece la sua anima nera poco a poco, attraverso un incrocio di piani temporali (l’Alcina bambina con l’ascia ultrice) e quando ormai è quasi priva di ogni potere (la presenza incombente dell’Alcina vecchia). Interessante, benché non del tutto risolta, era anche l’idea di una regressione dal presente verso il passato “ariostesco”, una sorta di età dell’oro nemmeno troppo dorata, scongelato dalla fine di Alcina, suggerita soprattutto dai costumi di Agostino Cavalca

Sotto la sua forma sontuosa, tuttavia, questa produzione rivelava il suo punto debole nel voler caricare di troppi elementi il ritratto della protagonista, una scelta che finiva per schiacciare ai margini tutti gli altri personaggi, trasformati in figure di sfondo. Sicuramente emergeva poco il Ruggiero di Philippe Jaroussky, sempre troppo cantante e poco interprete (per di più un po’ affaticato nella seconda recita in programma) e sempre un po’ estraneo al gioco scenico. Come sempre di altissima classe la prova di Sandrine Piau, ancora una volta Morgana, salvandola da qualche gratuità registica con l’innata eleganza. Altrettanto riuscita era la prova di Kristina Hammarström, un’androgina Bradamante dal bel timbro brunito e dalle impeccabili agilità. Convinceva meno invece Christoph Strehl come Oronte, risolto comunque con intelligenza nonostante più di un limite di stile. Alastair Miles è un Melisso ben caratterizzato e in ottima forma vocale, e il piccolo Sheen Park dei celebri Wiener Sängerknaben superava a pieni voti la prova come Oberto sia sul piano vocale sia, nonostante qualche inevitabile impaccio, anche su quello scenico, che nel disegno di Michieletto aveva un certo rilievo. Piuttosto efficaci gli interventi coreografici di Thomas Wilhelm, riservati alle vittime degli incantesimi della maga. Dopo l’ottimo esordio nell’Ariodante, tornava nella buca dell’Haus für Mozart l’ottimo ensemble con strumenti d’epoca di Les Musiciens du Prince diretto anche per questa nuova incursione händeliana da Gianluca Capuano. Come sempre trionfale l’accoglienza del pubblico in entrambe le recite, che è gioco facile prevedere anche nella ripresa dello spettacolo nell’ambito del festival maggiore. 

Alcina - applausi finali

Nessun seguito, invece, è in programma per ora per il Polifemo di Nicola Antonio Porpora andato in scena per una sola recita al festival, che potrebbe candidarsi seriamente a colmare un’inspiegabile lacuna nella scarsa discografia del compositore napoletano. Contemporaneo dell’Alcina, è probabilmente il prodotto più alto nella battaglia anti-händeliana dell’Opera of Nobility, oltre che l’opera forse più rappresentativa dell’esaltazione delle possibilità canore dei propri interpreti in linea con l’estetica abbracciata da Porpora in quella tenzone londinese. Il libretto (di Paolo Rolli) incrocia in maniera piuttosto disinvolta due delle storie antiche delle quali il ciclope Polifemo è protagonista: terzo incomodo vendicativo nelle vicende amorose di Aci e Galatea secondo il racconto di Ovidio del XIII libro delle Metamorfosi, ma anche creatura mostruosa capace di dare più di un grattacapo a Ulisse e ai suoi nel IX libro dell’Odissea. Da questa stessa fonte proviene pure la ninfa Calipso, introdotta nell’opera per creare una simmetria amorosa nel cast e tutta presa dall’ammirazione per l’eroe greco. La disinvolta drammaturgia si spiega ovviamente con una storia di ugole d’oro da mettere in mostra, nel caso in questione quelle di Farinelli (Aci), della Cuzzoni (Galatea) e del Senesino (Ulisse) oltre a quelle di Antonio Montagnana (Polifemo, un po’ sacrificato) e Francesca Bertolli (Calipso). Sulla scena salisburghese a ripercorrerne le loro orme c’erano rispettivamente Yuriy MynenkoJulia LezhnevaMax Emanuel Cencic, anche regista della produzione, Pavel Kudinov e Sonja Runje. Annunciato in locandina come semiscenica, si trattava in effetti di un allestimento completo, benché parsimonioso nei mezzi, sullo sterminato palcoscenico della Felsenreitschule: un’isola suggerita da qualche grande roccia per la semplice scena di Margit Ann Berger, costumi di foggia piratesca di Giorgina Germanou e soprattutto proiezioni marine nei video di Sarah Scherer sull’alta parete di roccia della sala nonché illuminazione atmosferico-policroma di Paul Fresacher nelle gallerie scavate nella roccia. C’era anche una certa cura nella realizzazione scenica e un’idea drammaturgica che accentuava il contrasto fra il tono arcadico della vicenda di Aci e Galatea e quello marcatamente comico di Ulisse e Polifemo. Forti contrasti anche nella realizzazione musicale, accurata come sempre e ricca di colori, di Armonia Atenea diretta con la nota competenza stilistica e grande gusto da Georges Petrou

Max Emanuel Cencić in “Quel vasto, quel fiero” (Polifemo) 

Trionfo di belcanto anche nel colossale concerto “all stars” dedicato a Farinelli & Friends nel Grosses Haus con l’accompagnamento davvero sontuoso dei Musiciens du Prince, come d’uopo per tener testa alle voci, diretti anche in questa occasione da Gianluca Capuano. Schiacciante maggioranza femminile in scena con ben otto primedonne con la Bartoli in testaovviamente, e Julie FuchsPatricia PetibonSandrine PiauNuria RialLea DesandreVivica Genaux e Ann Hallenberg. Due sole le voci maschili, quelle dei controtenori Christophe Dumaux Philippe Jaroussky, in una sorta di versione aggiornata della rivalità Callas-Tebaldi: il primo istrionesco animale da palcoscenico (“Dover, giustizia, amor” dall’Ariodante di Händel il suo asso nella manica) e l’altro angelico vocalista (“Alto Giove” dal Polifemo di Porpora, ovviamente, la sua carta vincente). Accendeva subito l’entusiasmo del pubblico la Bartoli con “Desterò dell’empia Dite” dall’Amadigi di Gaula di Händel, fuoco d’artificio belcantista proposto come gara di acrobazie virtuosistiche con l’oboista Pierluigi Fabretti e il trombettista Thibaud Robinne in scena. Impossibile dar conto in dettaglio del lungo programma ma andranno citate almeno le due micidiali arie, la farinelliana “Qual guerriero in campo armato” dall’Idaspe di Riccardo Broschi e “Parto con l’alma in pene” dal Siroe di Hasse, affrontate con classe e tecnica formidabili da Vivica Genaux e i due toccanti highlights dal Giulio Cesare in Egitto, il toccante duetto “Son nata a lagrimar” con Ann Hallenberg e Jaroussky e “Se pietà in me non senti” resa con intenso pathos da Patricia Petibon. Poco meno di quattro ore salutate da un atteso trionfo. Unica nota davvero stonata della serata era la fastidiosa conduzione di un particolarmente buffonesco Rolando Villázon, condita di numerose gaffes involontarie e letture di interminabili di testi pedagogici francamente del tutto inappropriati. 

Vivica Genaux “Qual guerriero in campo armato” (2017) 

Immancabile l’appuntamento con la musica sacra, che in questa felice edizione proponeva al Mozarteum la rarissima La morte d’Abel, azione sacra degli anni viennesi del veneziano Antonio Caldara su testo di Pietro Metastasio. Più che la riflessione religiosa come nel Caino di Alessandro Scarlatti del 1707, in questo lavoro posteriore di 25 anni dominano chiaramente gli affetti “domestici” e soprattutto il dolore della madre Eva per la perdita “morale” del figlio omicida Caino, un dolore che anticipa quello della Vergine ai piedi della Croce. Perfetta nel rendere la dimensione intima della composizione l’esecuzione del piccolo ensemble con strumenti originali Il canto di Orfeo diretto con grande intensità da Gianluca Capuano. Coerente con la linea artistica della direttrice artistica Bartoli, anche per Caldara la distribuzione vocale abbondava di presenze di alto livello, da elogiare comunque in blocco: Christophe Dumaux aveva il grande merito di riuscire a coniugare con perfetto equilibrio virtuosismo vocale a intensità espressiva per il ruolo più tormentato e complesso di Caino, Lea Desandre di Abel restituiva con grazia poetica la lontananza estatica, Julie Fuchsrendeva perfettamente l’intimo dolore della madre Eva attraverso una linea vocale di ammirevole limpidezza, e Nahuel di Pierro con Nuria Real nei ruoli meno pregnanti di Adamo e dell’Angelo completavano con onore una locandina di tutto rispetto. 

Archiviati i castrati celesti, appuntamento alla Pentecoste 2020 con un programma tutto dedicato al poliedrico genio di Pauline Viardot

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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