Ravenna Festival, dai russi a Dante

Al Ravenna Festival Gergiev con l’Orchestra del Marinsky e Voces Suaves con madrigali su testi di Dante

Ravenna Festival - Gergiev
Foto di Silvia Lelli
Recensione
classica
Ravenna Festival
Valery Gergiev - Orchestra del Teatro Marinsky / Voce Suaves
08 Giugno 2018 - 09 Giugno 2018

Valery Gergiev è infaticabile, gira il mondo come una trottola con l’orchestra del Teatro Marinsky di San Pietroburgo e con le tante altre orchestre con cui ha un rapporto ufficiale o semplicemente una consuetudine, ed indubbiamente nutre un amore – ricambiato – per Ravenna Festival, dove torna spesso e volentieri da quasi un trentennio, accolto sempre con entusiasmo dal pubblico, come d’altronde avviene in tutto il resto del mondo. 

È un interprete così convincente della musica russa che spesso si tende a confinarlo in quel repertorio, ma questa volta ha scelto di iniziare con Le Prélude a l’après-midi d’un faune di Debussy, che sembrerebbe lontanissimo dalla sua personalità fiammeggiante ed energica. Però già sapevamo da alcuni suoi concerti e dischi con la London Symphony che in questo autore può esprimere l’altro lato della sua personalità, cioè il suo temperamento sensuale, l’attenzione ai colori più delicati e non solo a quelli accesi: ma è stato così solo in parte, perché per una volta la “sua” orchestra non ha rispecchiato le sue intenzioni. La flautista, che qui è protagonista, era meravigliosa, ma nel complesso il suono dei pietroburghesi mancava di delicatezza: quasi mai un vero piano, ma un costante mezzoforte, con l’unico fortissimo scritto da Debussy che diventava l’occasione per sfogare la potenza di suono fino allora repressa. Eppure, ripensandoci, questo Debussy così energico poteva essere un buon antidoto alle esecuzioni troppo languorose che se ne sono ascoltate.

Il programma sembrava messo insieme casualmente, invece sottili rapporti collegavano i tre autori. Debussy infatti è debitore del successo internazionale del Prélude a due russi, Diaghilev e Nijinsky, che nel 1912 lo trasformarono in un balletto, considerato oggi uno dei capolavori della danza del ventesimo secolo, sebbene avesse ben poco a che fare con l’arte della suggestione cui tendeva Debussy, che infatti non apprezzò affatto. Seguivano i Quadri da un’esposizione di Musorgskij-Ravel, un altro incrocio tra russi e francesi, con la differenza che in questo caso fu un francese a rendere celebre la musica di un russo, che forse, se fosse stato ancora in vita, non avrebbe affatto apprezzato la trasformazione della sua musica, così russa e perfino barbarica, in uno sfavillante campionario di preziosità timbriche parigine. Gergiev non ha dimenticato i ritmi irregolari, l’armonia aspra e le melodie costruite su modi popolari russi, che caratterizzano la musica di Musorgskij, quindi dell’orchestrazione di Ravel ha preso soprattutto quel che gli serviva per evidenziare ciò che aveva in mente: il risultato era che il binomio Musorgskij-Ravel assumeva una nuova ragion d’essere. 

Ravenna Festival - Gergiev
Foto di Silvia Lelli

Conclusione con le Danze sinfoniche op. 45, ultima composizione di Rachmaninoff, che – sempre nel solco dei rapporti tra gli autori in programma – qui ricorre a temi di derivazione popolare russa, come Musorgskij, e riprende alcuni spunti dell’orchestrazione di Ravel per i Quadri. Sebbene non manchino, come sempre in Rachmaninoff, le idee melodiche accattivanti, non ce ne sono abbastanza per reggere quaranta minuti di musica, perché le idee si ripetono, cedono il posto ad altre idee e ritornano, senza che sia chiaro il piano che il compositore segue e senza una direzione avvertibile. Nonostante la debolezza – a mio giudizio – del pezzo, anche qui Gergiev e l’Orchestra del Marinskij facevano meraviglie. 

Gli applausi, già molto calorosi dopo Debussy, sono diventati entusiastici dopo il secondo e il terzo pezzo e sono stati ripagati con l’ouverture della Forza del destino, che paradossalmente era l’unica delle musiche eseguite a essere veramente pietroburghese. Esecuzione strabiliante per carica dinamica e forza drammatica, che, più delle ben più complesse e difficili composizioni precedenti, rivelava che straordinaria macchina musicale sia quest’orchestra, che ha seguito come un sol uomo Gergiev nei tempi vorticosi da lui impressi a Verdi, suonando con una sicurezza impressionante, senza il minimo affanno e la minima sbavatura.

Ravenna Festival - Gergiev
Foto di Silvia Lelli

Il giorno dopo si voltava decisamente pagina con il concerto polifonico del gruppo svizzero Voces Suaves nella chiesa di San Francesco. In omaggio a Dante, sepolto a pochi metri di distanza, questo concerto era intitolato “Quivi sospiri”, dal verso iniziale di un passo del terzo canto dell’Inferno che fu scelto da diversi madrigalisti, attratti da una terzina che richiede un rapporto speciale e strettissimo tra parole e musica: “diverse lingue, orribili favelle, / parole di dolore, accenti d’ira, / voci alte e fioche, e suon di man con elle”.

Si sono ascoltate le versioni di Luzzasco Luzzaschi e Pietro Vinci, accostate ad altri madrigali su testi danteschi e alternate a musiche sacre riconducibiliin qualche maniera al poema dantesco, con particolare attenzione – casuale o voluta? – a compositori dell’area emiliano-romagnola, come Luzzaschi, Merulo e Frescobaldi. Programma molto interessante, che permetteva di scoprire alcuni gioielli nascosti della polifonia rinascimentale: ma certo, quando entravano in scena Gesualdo, Marenzio e Monterverdi, la differenza si sentiva. L’esecuzione era di ottimo livello, accurata, calibrata, precisa; ma, soprattutto nei madrigali più drammatici, appariva leggermente distaccata e non sempre attenta a valorizzare adeguatamente le parole, quando – si sa – il madrigale è nato proprio per valorizzare il rapporto tra testo e musica.  

Ravenna Festival - Voces Suaves
Foto di Zani-Casadio

 

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