Quanti dolori per la povera Griselda, ma quante splendide arie!

L’ultima opera di Alessandro Scarlatti presentata a Martina Franca in un’esecuzione musicale di alto livello

Griselda
Griselda
Recensione
classica
Martina Franca, Festival della Valle d’Itria, Cortile del Palazzo Ducale
Griselda
24 Luglio 2021 - 01 Agosto 2021

Nel 1721, esattamente trecento anni fa, il sessantaduenne Alessandro Scarlatti usciva di scena facendo rappresentare al Teatro Capranica di Roma Griselda, che sarebbe rimasta la sua ultima opera – o almeno l’ultima giunta fino a noi - nonostante gli restassero ancora quattro anni di vita. Con quest’opera il compositore palermitano di nascita e romano di formazione portò a termine la propria missione storica di traghettare l’opera dal Seicento al Settecento, dandole quei caratteri che avrebbero caratterizzato la cosiddetta opera seria per almeno tre generazioni successive: regolare alternanza di recitativi e arie col da capo, tranne rarissimi pezzi d’insieme, eliminazione di ogni scena comica e inevitabile lieto fine.

Questi criteri sono suggeriti, anzi imposti, anche dal libretto di Apostolo Zeno (musicato anche da altri prima e dopo Scarlatti), ricavato da una fonte letteraria piuttosto insolita per l’opera seria, il Decamerone di Boccaccio. L’argomento è il contrario esatto di quel che si intende per “boccaccesco”, poiché tratta della virtù incrollabile di una donna. Gualtiero re di Sicilia sposa la pastorella Griselda, ma la sottopone ad una serie di prove incredibili (nonostante la pretesa di Zeno di far credere che siano fatti veramente avvenuti), crudeli e perfino sadiche, per mettere alla prova le sue virtù: tra l’altro, le fa credere di aver ordinato di uccidere la figlia, la ripudia e le ordina di servire la sua nuova moglie, le toglie anche il figlio, vuole costringerla a sposare un altro che ella non ama. Ma Griselda sopporta tutto per il suo amore e la sua devozione al marito e alla fine si arriva all’inevitabile lieto fine, con il ricongiungimento di Griselda e Gualtiero.

Questa vicenda è così assurda da essere priva del seppur minimo interesse – almeno per un ascoltatore moderno, probabilmente i nostri antenati non la pensavano come noi – ma dà modo a Zeno di inanellare una grande varietà di situazioni e di toccare tutti gli affetti umani. E un anonimo vi aggiunse – i libretti venivano sempre modificati, quando passavano da un compositore all’altro - anche l’amore non ricambiato di Roberto per Costanza, che offre alla musica affetti meno sublimi e più umani e verosimili.

Il libretto ha grandi pregi e grandi limiti, ma la musica è splendida e basta. Anzi, anche la musica ha un limite: è uniformemente splendida e alla lunga si prova inevitabilmente un senso di saturazione, anche perché a Martina Franca i tre atti (più di tre ore di musica, nonostante i tagli) sono rappresentati con un unico e breve intervallo. Scarlatti è prodigioso, sciorina un’ininterrotta serie di arie (con soltanto due pezzi d’insieme, più un brevissimo coro all’inizio e un brevissimo quartetto con coro alla fine) una più bella dell’altra ma dal tono piuttosto uniforme, prevalentemente dolce e soave con venature ora malinconiche ora sensuali: le arie più belle sono proprio quelle che uniscono malinconia e sensualità. I recitativi sono piuttosto elaborati, soprattutto per quel che riguarda l’armonia, e hanno momenti molto espressivi, ma rallentano ulteriormente l’azione, perché non traghettano rapidamente da un’aria all’altra come farà il recitativo secco dei compositori successivi. Per ottenere maggiore varietà, Scarlatti introduce anche alcuni di quei nuovi tipi di arie che i compositori più giovani stavano diffondendo in quegli anni: un’aria di tempesta, un’aria di sdegno, un’aria di gelosia, un’aria del sonno, un’aria di caccia, anche’esse molto belle. Inoltre arricchisce il ruolo dell’orchestra (spesso nelle sue opere precedenti le arie erano accompagnate dal solo basso continuo) e talvolta affianca strumenti concertanti alla voce: ora un flauto, ora un flauto e un oboe, ora due corni.

Non è un compito facile portare in scena un’opera così statica, tanto più su un palcoscenico che non consente cambi di scena, mentre alla prima del 1721 a Roma la staticità dell’azione era compensata da ben dieci diverse magnifiche scenografie di Francesco Galli Bibbiena. La direzione scenica di Rosetta Cucchi si limita inizialmente a muovere i personaggi in modo semplice e coerente, ma poi introduce una serie di idee complicate, incomprensibili e soprattutto inutili e conclude piazzando i sei personaggi seduti su sei sedie schierate in riga al proscenio, immobili durante quasi tutto l’ultimo atto: cinque di loro sono legati alle sedie e solo Griselda è libera di alzarsi e muoversi, forse per significare che è l’unica veramente libera, mentre gli altri sono vincolati dal loro ruolo e non hanno libertà d’azione. Piuttosto che uno spettacolo così, forse sarebbe stata meglio un’esecuzione in forma di concerto, tanto più che la realizzazione musicale fu pregevolissima e sarebbe stata autosufficiente.

George Petrou, un esperto di questo repertorio, ha diretto il buon gruppo strumentale La lira d’Orfeo con grande competenza ma anche e soprattutto con grande sensibilità per questa musica, che vive di preziosi dettagli e non punta affatto sui pirotecnici effetti virtuosistici che i compositori più giovani stavano già sfruttando. Griselda era Carmela Remigio, che con la profonda e interiore forza espressiva della sua voce ha dato grande intensità al canto e giusta attenzione alle parole del testo sia nei recitativi – è stata praticamente l’unica a cogliere alcune gemme nascoste nei recitativi - che nelle arie, cogliendo tutto il patetismo dell’infelice Griselda ma anche il suo amore, la sua fermezza, la sua dignità. Come la Remigio, Mariam Battistelli non è una specialista di questo repertorio ma con la sua voce limpida e pura e le sue delicate e tenere sfumature espressive fu una meravigliosa Costanza, la nuova moglie di Gualtiero ma anche la donna amata da Roberto, finché proprio alla fine – ricorrendo al solito mezzuccio dell’agnizione -  si scopre essere la figlia di Griselda, che si credeva uccisa per ordine di Gualtiero: questo dà un’idea di quanto sia assurda e intricata la vicenda. Non si può dire altro che bene anche di Miriam Albano, magniifca interprete di Roberto, forse il più bel personaggio dell’opera, appassionatamente innamorato di Costanza e disperato per non essere riamato. Raffaele Pe è un cantante con pochi rivali in questo repertorio, ma Gualtiero, pur essendo il “motore” di tutta la complicata vicenda, non è un personaggio molto interessante e non offre grandi soddisfazioni all’interprete. Tutti i sei cantanti hanno parti di rilievo, non esistono personaggi secondari, quindi anche Francesca Ascioti (il perfido Ottone) e Krystian Adam (Corrado, l’unico tenore tra cinque soprani, contralti e contraltisti) ebbero la possibilità di farsi pienamente apprezzare. Questo cast omogeneo e di alto livello ottenne un prevedibile, meritato, grande successo.

 

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Un'interessantissima lettura della Nona

classica

Al Theater Basel L’incoronazione di Poppea di Monteverdi e il Requiem di Mozart in versione scenica

classica

Al Teatro Malibran, dirige Giovanni Mancuso