Pescando perle di musica francese
Notevole successo al Teatro del Maggio con Les pêcheurs de perles di Georges Bizet, con la suadente direzione di Jérémie Rhorer e la ripresa della regìa di Wim Wenders nata a Berlino nel 2020
24 settembre 2025 • 3 minuti di lettura
Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Les Pêcheurs de perles
16/09/2025 - 23/09/2025Anche alla quarta e ultima recita, quella a cui abbiamo assistito il 23, il Teatro del Maggio era bello pieno, a conferma di una stagione positiva di cui questo teatro sta finalmente cogliendo i frutti, e da cui traggono beneficio anche opere poco conosciute come questi Pêcheurs de perles,
di cui va ricordata peraltro in questo teatro una buona edizione abbastanza recente (2016). C’era ancora una volta un direttore sulla cresta dell’onda ma per la prima volta a Firenze, Jérémie Rhorer, la cui limpida e nativa vocazione al repertorio francese ha già avuto modo di evidenziarsi anche in Italia (citiamo almeno una Jeanne d'Arc au bûcher di Honegger a Spoleto), e che qui ha trovato conferma nella maniera accattivante di delineare certe morbidezze di fraseggio e finezze timbriche correlate al repertorio dell’opéra-lyrique dell’epoca, senza peraltro mancare le acmi drammatiche connesse a questa storia e a questa partitura. Una partitura che di quelle eleganze e mollezze è soffusa e di cui in un certo senso resta prigioniera (era del resto un Bizet neanche venticinquenne nel 1863, l’anno in cui l’opera andò in scena), tanto che ad ogni nuovo ascolto si resta stupiti di come Bizet abbia saputo imporvi, più di dieci anni dopo, una svolta con la grintosa e abbagliante Carmen.
Altro elemento di interesse, la regìa di Wim Wenders, che non poteva che attrarre chi, come chi scrive, ama questo regista da quando noi cinefili ventenni riempivamo le sale d’essai per ardui film sottotitolati come Falso movimento e Nel corso del tempo, prima che Wenders arrivasse a un pubblico più vasto con L’amico americano, e poi il trionfo del Cielo sopra Berlino, e tutto ciò che è venuto dopo. E’ noto che per il pubblico dell’opera italiano l’abbinamento delle parole regista e tedesco suscita tutto un ventaglio di timori. Ma il nostro apprezzamento per questo maestro ci garantiva che Wenders non ci avrebbe propinato “regìe di concetto”. Questo spettacolo ci ha dato ragione, con una semplicità d’approccio alla storia nata da una poetica, lirica e quasi ingenua adesione alla vicenda e alla partitura, limitandosi la scena al drappeggio di grandi tende sullo sfondo e a nient’altro, e i costumi a atemporali camiciotti e palandrane di vari ma sobri colori, senza tocchi esotici di sorta. Il tutto arricchito, in questa regìa ripresa qui a Firenze dall’esperto Derek Gimpel, ma crediamo anche nello spettacolo originale berlinese, da video proiettati su un velario davanti alla scena, in cui spicca, come una sorta di motivo conduttore visuale, l’immagine del mare. Un allestimento semplice ma bello, con le scene di David Regehr, i costumi di Montserrat Casanova, le luci di Olaf Freese riprese da Oscar Frosio. Nel cast spiccava per incisività e intensità, nel ruolo baritonale di Zurga, Lucas Meachem, il più cordialmente applaudito alla fine; corretti e partecipi e complessivamente adatti al ruolo anche il Nadir di Javier Camarena, però un po’ languido e fin troppo falsettante nel celebre Je crois entendre ancore, e la Leila di Hasmik Torosyan, a cui dobbiamo aggiungere anche Huigang Liu nel ruolo di Nourabad. Tutti molto festeggiati alla fine, al pari del direttore e orchestra, e del Coro del Maggio, accuratamente preparato da Lorenzo Fratini e protagonista di una performance molto riuscita anche sul piano scenico.