Pappano dirige Abudushalamu, vincitore del concorso Berio

Alla novità assoluta del giovane compositore uiguro seguivano musiche di Mendelssohn col grande violinista Maxim Vengerov e di Čajkovskij

Pappano e l'Orchestra di Santa Cecilia
Pappano e l'Orchestra di Santa Cecilia
Recensione
classica
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia
Pappano, Vengerov, Yikeshan Abudushalamu
12 Marzo 2021

Più ancora che la presenza di due grandi interpreti quali Antonio Pappano e Maxim Vengerov, il maggiore motivo d’interesse di questo concerto era la prima esecuzione assoluta di un brano di Yikeshan Abudushalamu, che è nato nel 1985 nello Xinjiang - una regione autonoma della Repubblica popolare cinese - e appartiene all’etnia turcofona uigura. Nel 2019 Abudushalamu ha vinto il primo concorso di composizione intitolato a Luciano Berio promosso dall’Accademia di Santa Cecilia, che ha la particolarità di giudicare i concorrenti prendendo in considerazione non un singolo lavoro composto specificamente per il concorso ma la loro intera produzione. Al vincitore è stata commissionata una nuova composizione per grande orchestra, che è stata ora eseguita dall’Orchestra di Santa Cecilia e verrà prossimamente proposta da altre tre delle maggiori orchestre italiane, ovvero Orchestra Nazionale della RAI, Filarmonica della Scala e Maggio Musicale Fiorentino.

Abudushalamu ha scritto un brano della durata di circa quindici minuti, intitolato Repression. «Il titolo - dice l’autore – può essere interpretato in molti modi dal pubblico, perché rappresenta solo il mio sentimento personale e la mia sensazione in merito a questo lavoro dopo il suo completamento. In altre parole, questo lavoro può essere considerato come musica senza titolo». Tuttavia è difficile pensare che questo titolo non abbia nulla a che vedere con la spietata repressione a cui gli uiguri sono attualmente sottoposti dal governo cinese, così come decenni fa avvenne (e ancora oggi continua) per i tibetani: poche voci si sono alzate a favore dei tibetani da parte del cosiddetto mondo libero e lo stesso si sta ripetendo ora per gli uiguri. L’unica cosa che è cambiata è che ora la Cina si è enormemente evoluta sotto l’aspetto economico e scientifico e la repressione viene condotta con l’uso di sofisticati sistemi tecnologici.

La prudenza di Abudushalamu – che vive in Cina - nel negare qualsiasi rapporto tra il titolo del suo brano e la situazione del suo popolo è perfettamente comprensibile, ma effettivamente la sua non è musica a programma e non ha un precisa correlazione con la repressione di cui gli uiguri sono vittime. Dunque è giusto affermare, come fa egli stesso, che «il pubblico non dovrebbe essere fuorviato o influenzato dal titolo, ma concentrarsi principalmente sull’esperienza di ascolto di Repression».

E all’ascolto Repression si rivela un brano molto interessante e – ripescando una parola ormai fuori commercio – “bello”. Abudushalamu non sembra affatto giungere da una regione dell’Asia centrale semisconosciuta a noi europei, in quanto è assolutamente aggiornato sui più recenti sviluppi musicali internazionali, pur non essendo appiattito su nessuna corrente musicale attuale. In questo pezzo usa un linguaggio complesso, che presenta notevoli difficoltà agli esecutori ma non è aridamente tecnicistico e giunge a coinvolgere anche emotivamente l’ascoltatore. Prevalgono i momenti di grande intensità e aggressività, che si alternano a rari momenti più tranquilli e statici, e il risultato è «un paesaggio sonoro ancora più contrastante, conflittuale e intenso», per usare ancora le parole del compositore.

Indubbiamente il giovane Abudushalamu è un compositore di grande talento e ci auguriamo di ascoltare presto altri suoi lavori: questo era il primo eseguito in Italia e sicuramente avrebbe avuto notevole presa sugli ascoltatori, ma è stato eseguito in una sala desolatamente deserta. Speriamo che sia più fortunato al momento delle esecuzioni previste a Milano, Firenze e Torino. E inoltre all’Accademia di Santa Cecilia sono giunte richieste d’inserire questo brano nel programma delle sue prossime tournée, quando si potrà.

Pappano ha concluso il concerto con la Suite n. 3 di Čajkovskij, un brano molto meno noto delle sue sinfonie, ma di grande bellezza. Qui ascoltiamo non il compositore delle sinfonie, iperromantico, struggente e disperato, ma l’elegante e raffinatissimo autore di balletti – nel secondo e terzo movimento,  la Valse mélancolique e lo Scherzo, che in realtà è una tarantella - e il prezioso conoscitore di antiche tecniche compositive come le variazioni nel finale, un tema con dodici variazioni, in cui dalle trasformazioni del tema emergono prodigiosamente il Dies irae, una melodia popolare russa e una “polacca”, che ricorda quella dell’ultimo atto dell’Onegin. Pappano ha esaltato tutte le seduzioni di questo brano e l’orchestra ha risposto con un suono elegante ed ammaliante.

Tra Abudushalamu e Čajkovskij stava il Concerto per violino di Mendelssohn. Il solista era Maxim Vengerov, uno dei migliori – forse il migliore – violinisti di oggi, nato come un virtuoso capace di entusiasmare e trascinare l’ascoltatore, ma con gli anni diventato anche e soprattutto u interprete di gran classe, dotato di un senso superiore dell’eleganza e della misura: l’insieme di queste due qualità gli ha permesso di cogliere la perfetta unione di eleganza mozartiana ed afflato romantico di questo capolavoro del più classico tra i romantici, come raramente avviene. L’unico appunto possibile è che tempi appena meno veloci avrebbero valorizzato ancora meglio questo prodigioso risultato ottenuto da Mendelssohn.

Il concerto è stato trasmesso in diretta da Rai Radio3 ed è ora visibile in streaming sul sito dell’Accademia di SantaCecilia. https://santacecilia.it/streaming/

 

    

 

 

 

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