Otomo Yoshihide, poesia del fragore

Chiude AngelicA 2023 con l'epico solo ai giradischi di Otomo Yoshihide

Otomo Yoshihide (foto di Massimo Golfieri)
Otomo Yoshihide (foto di Massimo Golfieri)
Recensione
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Bologna, AngelicA Festival
Otomo Yoshihide
31 Maggio 2023

Ultimo appuntamento per la trentatreesima edizione di AngelicA al Teatro San Leonardo con il venerabile Otomo Yoshihide, protagonista di un solo set per giradischi che registra il tutto esaurito e poi alla guida di un’orchestra (la serata è in coproduzione con il locale Conservatorio) per una conduction che purtroppo non riusciamo ad ascoltare causa orari di Trenitalia non clementi.

– Leggi anche: Uno, nessuno, centomila Jim O'Rourke

Massimo Simonini introduce la serata ricordando i trascorsi del nostro a Bologna e in regione: con Ground Zero, con House Of Discipline, trio con Bob Ostertag e Mike Patton al glorioso Link di Via Fioravanti, poi a Reggio Emilia al Teatro Cavallerizza nel 2006 con l’O.Y. New Jazz Ensemble. «Che la musica sia con noi, perché anche se facciamo fatica ogni giorno siamo in buona compagnia».

«Che la musica sia con noi, perché anche se facciamo fatica ogni giorno siamo in buona compagnia» – Massimo Simonini

Non poteva esserci augurio migliore prima di un set abbacinante. Abrasivo, parossistico, strabordante rumori, rimbrotti, agguati, stridori, cigolii di porte che si spalancano sui nostri paradisiaci inferni. Il set è molto semplice nella sua ferocia da art brut: due giradischi, un piatto di batteria sbeccato, mixer, un microfono a contatto, puntine preparate kamikaze che per ottenere la vittoria si immolano sull’oceano del piatto, dove a volte nemmeno serve mettere il vinile per apparecchiare l’apocalisse. Il risultato parla una lingua ispida e aliena e ci racconta di epilessia, nevrosi, caos, funk del disastro.

Questa musica-non musica affoga nel rumore più bieco e ottundente che viene affrontato come se fosse pulsante materia free suonata con i tasti del pianoforte. I giradischi vengono letteralmente portati al limite, mossi fisicamente, sballottati, utlizzati come una chitarra-Godzilla, anche senza i vinili. Un chirurgico e assassino sistema di feedback e rumori speciali che produce una ininterrotta vampata free-ultra-noise che, nel suo spingere sempre al massimo, serba intatto però una insospettabile musicalità e anche un suo profondo lirismo.

A un certo punto un notturno e suadente old style jazz si fa strada in una ridda di fischi inenarrabili: è forse l’unico frangente in cui dai vinili esce qualcosa che assomigli a quello per cui erano stati in origine prodotti. Come una versione ancora più estrema della “Broken Music” del sound artist ceco Milan Knížák. Qui invece i supporti vengono torturati in modo  inesorabile, creativo. Pura poesia del fragore.

In una storia laterale della musica registrata bisognerà un giorno parlare dell’arte rigorosa e folle di questo samurai della musica del XX e del XXI secolo. Parafrasando il regista Sukamoto – un altro che di perversioni se ne intende – potremmo dire: Otomo, l’uomo di acciaio. Capace di stanare i demoni che dormono nella polvere della vostra collezione di dischi. Oppure, pigliandola biblica: non avrai altro rumore all’infuori di me.

Era un po’ che non mi capitava di fare un’esperienza così intensa. Epilogo indicibile e perfetto per la rassegna che aveva aperto nel mese di maggio con il ritorno di Jim O’Rourke, in coppia con Eiko Ishibashi. E per la prossima stagione di AngelicA già si preannunciano altre cose imperdibili: restate sintonizzati.

 

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