Oratori antichi e moderni per Carissimi 350
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
Diciotto appuntamenti tra convegni, conferenze, laboratori e soprattutto concerti, prevalentemente a Roma e dintorni (Tivoli e Marino) ma anche a Genova e a Trento, in collaborazione rispettivamente con “Le vie del barocco” e “Trento Musica Antica”: è il bilancio delle “Giornate carissimiane”, che si svolgono ogni anno ma che quest’anno erano più estese, perché nel 2024 cade il trecentocinquantesimo anniversario della morte di Giacomo Carissimi. Non si poteva perdere l’ultimo concerto, che affiancava l’oratorio Jonas o più precisamente Historia Jonae, uno dei massimi capolavori di Carissimi, alla prima esecuzione assoluta di un altro oratorio, Vanitas 2024, commissionato a cinque compositori di cinque diversi stati europei.
Il momento culminante dell’oratorio di Carissimi è il lamento di Jonas, una della pagine più alte della musica vocale del Seicento, che spesso viene accostato ad altri due sublimi lamenti di Carissimi, quello della Filia nello Jephte e quello di Ezechias nell’oratorio omonimo. In realtà più che un lamento questa è una preghiera che Jonas - in una situazione difficile e a dir poco insolita, cioè nel ventre della balena - rivolge a Dio. È stata interpretata alla perfezione dal tenore Luca Cervoni, con pertinenza stilistica e con la varietà espressiva contenuta ma intensa di questo dialogo con la divinità, che passa dal riconoscimento dell’onnipotenza di Dio alla dichiarazione del pentimento per aver contravvenuto ai suoi ordini e alla promessa di obbedienza, se Dio vorrà liberarlo, per concludersi con una fervente richiesta di pietà e perdono.
Questo lamento o preghiera occupa quasi la metà dell’oratorio. Prima, proprio all’inizio, il basso Walter Testolin aveva assunto la non piccola responsabilità di dar voce a Dio, come non capita spesso nella carriera di un cantante. Lo ha fatto con voce ben timbrata, ferma e autorevole, senza esagerare, perché si suppone che Dio non abbia bisogno di alzare mai la voce. Altro momento maiuscolo è il finale, quando l’umanità intera - id est le voci dei solisti e del coro – si confessa peccatrice e implora il perdono divino. Ma il momento più stupefacente è la tempesta, in cui la descrizione da parte del coro della spaventosa furia dei venti, delle nuvole, della grandine, delle onde e dei fulmini si alterna al terrore dei marinai che implorano gli dei (badate bene, non Dio). Nonostante i semplici mezzi messi a disposizione dagli organici vocali e strumentali della sua epoca, Carissimi riesce ad esprimere in modo impressionante la furia degli elementi, che si rispecchia nell’alternanza serrata, agitata e violenta dei due cori “battenti”.
Di questa magnifica esecuzione, che rispettava il testo e la prassi esecutiva dell’epoca, aggiungendovi una sensibilità moderna, va dato il merito in primis a Flavio Colusso, che ha diretto l’Ensemble Seicentonovecento e la Cappella Musicale di Santa Maria dell’Anima. Si vorrebbe citare tutti gli altri, le voci soliste, le voci del coro e gli strumentisti, ma l’elenco sarebbe lungo e ci limitiamo a due pilastri del basso continuo, qui fondamentale, ovvero il liutista Andrea Damiani e l’organista Andrea Coen.
Il concerto proseguiva con Vanitas 2024, che in omaggio a Carissimi riproponeva in chiave moderna - evitando il fatale errore dell’imitazione - la forma musicale e la funzione di elevazione spirituale dei suoi oratori. Il progetto è nato da un’idea di Flavio Colusso, che ne ha scritto il testo, traendolo dall’Ecclesiaste e dall’ampia letteratura e iconografia sul soggetto della vanitas, con riferimenti anche all’attualità. Lo stesso Colusso ha composto l’introduzione “Danza di uomini e scheletri” e la conclusione “Tombeau de Carissimi”. I quattro quadri centrali sono stati composti nell’ordine dal tedesco Franz Kaern-Biederstedt, dal greco Joseph Papadatos, dall’austriaco Peter Peinstingl e dall’ungherese Daniel Dobri.
L’eterogeneità della musica è certamente calcolata e voluta e viene accentuata dall’alternanza di lingue diverse, latino, italiano, tedesco, greco, ungherese, ebraico. Non mancano momenti suggestivi, che vanno dalla violenza apocalittica alla serenità pastorale con modalità popolari e alla luminosità ultraterrena. Strumenti moderni aggiungono suggestioni alle voci: un deflagrante colpo di gong, poi lasciato risuonare fino all’estinzione, apre e chiude l’oratorio; il suono mistico delle campane tubolari e quello apocalittico del trombone basso scandiscono vari momenti; compare fuggevolmente anche un tamburello basco. Difficile dire se questo pur apprezzabile tentativo di far rinascere l’oratorio come genere musicale contemporaneo avrà un seguito, ma sicuramente il pubblico che affollava la basilica romana di Sant’Apollinare – dove Carissimi fa maestro di cappella per quasi mezzo secolo – lo ha seguito con interesse e ha mostrato la propria approvazione con intensi applausi.
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