Nagano tra il dadaismo di Ligeti e il classicismo di Haydn
Kent Nagano è tornato alla guida dell’orchestra Haydn affiancato dalla pianista Mari Kodama
È stato un interessante giuoco di equilibri quello proposto dal concerto offerto dalla fondazione Haydn di Bolzano e Trento che ha visto il ritorno di Kent Nagano alla guida di una compagine orchestrale arricchita dalla presenza del pianoforte di Mari Kodama.
Presentato nell’ormai consueta formula della doppia serata proposta a un giorno di distanza nelle due città sedi dell’orchestra Haydn, questo appuntamento concertistico ci ha accompagnato in un originale viaggio avanti e indietro nel tempo, una sorta di altalena storico-stilistica tesa tra due figure di compositori come György Ligeti e Joseph Haydn, tanto fondamentali per la storia della musica quanto naturalmente distanti cronologicamente e stilisticamente.
La prima tappa di questo percorso è stata rappresentata dal Poema Sinfonico per 100 metronomi, ideato da Ligeti nel 1962 per il gruppo Fluxus, vale a dire una specie di movimento o comunità di artisti, musicisti e intellettuali “artigiani delle arti” attivo tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento – ma qualche germe lo si può rintracciare anche alla fine degli anni Cinquanta – sparpagliati tra Europa e Stati Uniti. Artisti e pensatori anche diversissimi tra loro , riuniti sotto questa sorta di etichetta grazie all’intuizione – e alla determinazione, se vogliamo – di George Maciunas, promotore della rivista ccV TRE pubblicata a New York tra il 1955 e il 1970 e fascinosa figura di artista, storico dell’arte, gallerista, musicologo, progettista, architetto, redattore, produttore, tipografo e matematico, oggi essenzialmente ricordato come l’inventore, appunto, del movimento “Fluxus”.
Se tra gli obiettivi dichiarati di Maciunas c’era l’infiltrazione dell’arte nella vita quotidiana – in altre parole la tensione a superare la tradizionale divisione dei domini dell’estetica mediante uno sconfinamento radicale dell’operare artistico nel “flusso” della vita quotidiana, con la conseguente rivalutazione degli atti e dei gesti più elementari e gratuiti ritenuti “artistici” di per sé – il brano di Ligeti può essere riconosciuto – assieme a certi lavori di John Cage e di La Monte Young – come una sorta di manifesto musicale di questo approccio di palese ascendenza dadaista.
Oggetto di uso quotidiano – almeno fino a qualche tempo fa – di chi studia musica, scandendo inesorabilmente il tempo tra scale e arpeggi di aspiranti strumentisti, il metronomo assurge qui a strumento principe, moltiplicato addirittura per 100 (metronomi recuperati dalla Haydn grazie ad un’originale colletta rivolta al pubblico locale), caricato e azionato dai maestri d’orchestra avviando un viaggio originale e ancora decisamente efficace, tratteggiato all’inizio da un insieme di battiti plasmati in una massa di suoni reiterati e indefiniti, passando per una sorta di mantra ritmico-metallico dal passo ipnotico, per finire con l’attesa – tesa e quasi insofferente – dell’emanazione dell’ultimo ticchettio che, interrompendo il suo insistente riproporsi, regala all’ascoltatore una sorta di liberatoria oasi di silenzio.
Una assenza di suono subito riempita dall’omaggio alla figura e all’arte di Girolamo Frescobaldi rappresentata all’undicesima e ultima tappa della suite Musica ricercata, dove lo stesso Ligeti chiude la sua ricognizione creativa dedicata al pianoforte con una pagina dalla significativa densità, restituita da Mari Kodama con efficace pulizia digitale. Un carattere poi riverberato nel Concerto per pianoforte e orchestra che ha chiuso la prima parte della serata, brano del 1966 dove sempre Ligeti indaga nell’ambito dei cinque movimenti che compongono questa pagina multiformi combinazioni poliritmiche dalla significativa pregnanza.
Tra le composizioni di Ligeti si trovava incastonata la Sonata in do maggiore di Haydn, della quale la stessa Kodama ha saputo offrire un’interpretazione elegante ma forse un poco distaccata, anticipando quel clima classico, rievocante la prima scuola di Vienna, poi sviluppato a pieno grazie alla Sinfonia n. 102 in si bemolle maggiore, Hob. I: 102 del compositore di Rohrau, presentata nella seconda parte del programma. Una pagina il cui raffinato costrutto espressivo è stato disegnato dal gesto al tempo stesso misurato ed eloquente di Nagano, seguito con efficace reattività da una compagine orchestrale ben affiatata.
In occasione del concerto che abbiamo seguito a Trento, tutti gli artisti impegnati sono stati salutati dagli applausi di un pubblico attento che non esauriva la sala.
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