Monteverdi nello specchio del teatro

Bel Ritorno di Ulisse in patria alla Pergola di Firenze con l’affascinante messinscena di Robert Carsen e Ottavio Dantone sul podio dell’Accademia Bizantina

Il Ritorno di Ulisse in patria
Il Ritorno di Ulisse in patria
Recensione
classica
Teatro della Pergola, Firenze
Il Ritorno di Ulisse in patria
28 Giugno 2021 - 08 Luglio 2021

Si apre il sipario e vediamo allo rovescia, allo specchio, il luogo in cui ci troviamo: il teatro della Pergola. La specularità è avvincente e perfetta, ma quel piccolo teatro a platea vuota e palchetti potrebbe essere anche il SS.Giovanni e Paolo a Venezia, dove si presume sia andata in scena nel 1640 questa che è la seconda delle tre opere di Monteverdi che si sono conservate; o anche il Globe, se pensiamo a ciò che accomuna Monteverdi a Shakespeare, la vibrante ed enigmatica ricchezza e molteplicità di ciò che si rappresenta, dei e dee, uomini e donne, umanità eroica e sofferta, umanità egoista, spensierata e godereccia anche se qualche volta, a suo modo, simpatica. Qui gli dei, vestiti di nobilissimo rosso porpora, osservano e commentano lo spettacolo delle vicende umane dai palchetti, o vi si mescolano – Minerva addirittura da dea ex machina calante dal cielo - per portare il fato di Ulisse e Penelope al lieto fine.  Fatta salva l’imponenza dell’invenzione di quel teatro specchio di quello reale (Radu Boruzescu firmava le scene), l’allestimento in quella platea vuota è semplicissimo: abiti moderni con gli azzeccati i costumi di Luis Carvalho (pensiamo ai tre Proci bellimbusti e al mendicante Iro, con la loro chiassosa eleganza), il talamo simbolo delle nozze regali e dei dubbi di Penelope, un grande tavolo, le sedie, e tutto è mosso, spostato, sorretto da una doppia schiera di figuranti che letteralmente portano il peso di tanti prodigi ed eroismi, valletti in rosso e più moderni serventi in livrea nera e guanti bianchi. Come sempre la scrittura scenica di Carsen è governata con sicura e calibrata eleganza e punteggiata di originali invenzioni di cui non intendiamo fare la cronaca, salvo invitare caldamente chi può a non perdersi questo spettacolo. Ma, come ben ricordiamo dai suoi precedenti spettacoli fiorentini, Fidelio e Elektra, è una concezione della regìa tutt’altro che capricciosa ed estetizzante, e non perde mai l’occasione di suggerire altre realtà arieggianti intorno alle grandi questioni del teatro di sempre, lo stringersi e il risolversi dei nodi del caso e del fato.

L’unico testimone della partitura, il codice conservato a Vienna, è scritto nella scabra modalità con cui ci è stato trasmesso con poche eccezioni il retaggio dell’opera italiana del Seicento: linee vocali e basso continuo, le poche linee strumentali delle sinfonie, ritornelli, interludi su modi di danza, spesso su quei vivaci profili dei bassi di danza spagnoli che Monteverdi amava tanto, quelle ciaccone e passacaglie non ancora irrigidite a danze solenni. Ogni esecuzione comporta dunque da parte del concertatore un’edizione pratica che rimpolpi il magro materiale tenendo conto degli usi compositivi dell’epoca, e di certe associazioni tipiche fra personaggi e/o situazioni, e timbri strumentali. Il tutto era svolto con libertà e una certa esuberanza fondando il tutto sulle competenze di prassi esecutiva di Dantone e del suo gruppo, in cui vogliamo segnalare almeno l’arpa di Flora Papadopoulos. Più che soddisfacente anche il foltissimo cast a diciotto personaggi, tra allegorie, divinità e varia umanità. Ulisse era Charles Workman, tenore messosi in luce sulle ribalte più importanti nei ruoli del teatro novecentesco e contemporaneo, e  che peraltro, tuffandosi in un mondo musicale così diverso, ha debuttato con grande sicurezza nel ruolo del protagonista; Penelope era invece una specialista, l’elegante Delphine Galou; ma a gusto di chi scrive spiccavano la Minerva di Arianna Vendittelli, scenicamente e vocalmente meravigliosa, e il Giove davvero tonante di Gianluca Marghelli; molto piacevole anche la giovane coppia Melanto – Eurimaco, Miriam Albano e Hugo Hymas, e tutti da ridere i Proci Andrea Patucelli, Pierre-Antoine Chaumien e James Hall. Successo netto, vivissimo e prolungato, repliche 30 giugno, 3 luglio, 8 luglio.

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