Monte-Carlo tra Xenakis e Sostakovic

Il Festival Printemps des  Arts

Renaud Capuçon (Foto Alain Hanel)
Renaud Capuçon (Foto Alain Hanel)
Recensione
classica
Monte Carlo
Printemps des  Arts di Monte Carlo
01 Aprile 2022 - 03 Aprile 2022

Con il passaggio di consegne della direzione artistica del festival Printemps des  Arts di Monte Carlo, da Marc Monnet al compositore italo francese Bruno Mantovani, anche quest’anno il tipo di proposta si è venuta caratterizzando sostanzialmente sempre all’insegna di un certo eclettismo.

Resta la consuetudine di accostare programmazioni classiche a repertori propri di un Novecento e di un contemporaneo ‘storico’, vengono a mancare quelle proposte di tipo performativo e più marcatamente sperimentali che avevano caratterizzato la gestione Monnet, mentre la novità, con Mantovani, è che il jazz viene a fare il suo ingresso nel festival  monegasco.

Nell’ultimo week end della stagione, venerdì 1 aprile, nei lussuosi spazi dell’auditorium del Casinò di Montecarlo (Opéra Monte-Carlo), abbiamo assistito ad un mirabile omaggio tutto di percussioni, a Iannis Xenakis (di cui tra l’altro quest’anno si celebra il centenario della nascita) da parte di un ensemble molto motivato, di grande precisione e con un notevole gusto per i colori strumentali, il Collectif Xenakis. Il palco è strabordante di strumenti, con varie taglie di membrane, tom, tamburi, congas, djembé, quindi vari tipi e dimensioni di piatti, gong, wood blocks…

Si è iniziato con le esecuzioni solistiche di pezzi come Rebonds A, Rebonds B e Psappha, in cui Rodolphe Thérry, Emmanuel Jacqet e Adélaide Ferrière hanno messo in evidenza una notevole attenzione e cura alle variabili dinamiche e timbriche delle sonorità delle membrane; quindi in brani come Okho, per tre esecutori, e nell’esplosivo Persephassa, per sei percussionisti, l’ensemble ha coinvolto un pubblico, attento e partecipe,  in un’avvincente percorso di fitte densità poliritmiche ed estenuanti dilatazioni, in quel gioco costante di regolarità e irregolarità che caratterizza il linguaggio di Xenakis.

Il pomeriggio del giorno seguente torniamo nello stesso spazio dove una big band presenta una versione jazz di Pierino e il lupo per un pubblico formato prevalentemente da famiglie, bambini e ragazzi delle scuole del principato.

Arrangiamenti sapientemente elaborati della partitura di Prokofiev in una più che brillante esecuzione da parte della Amazing Keystone Big Band con la voce recitante di Sébastien Denigues. L’idea funziona e l’impatto è sicuramente coinvolgente, cambiano i timbri dei personaggi/strumento, a parte il flauto/uccellino che viene affiancato da una tromba con sordina,  così si mutano tutti gli abbinamenti della versione originale: Pierino viene rappresentato dalla base ritmica di piano, basso, chitarra e batteria, l’anatra dal sax soprano, il gatto dal sax tenore, il nonno dal sax baritono, il lupo dai tromboni, i cacciatori dalla batteria. Gli universi stilistici variano modellandosi con gusto e ironia sui diversi mondi jazzistici, dal dixie attraverso il jazz manouche, il rhythm and blues, fino al free. Gli episodi solistici improvvisativi che si avvicendano sono impeccabili e si inseriscono all’interno di un discorso che la band esegue con vigore e un ritmo incalzante fino a irrompere, in una sfilata tra il pubblico, nella celebre marcia finale.

Estremamente raffinato e suggestivo il programma cameristico per soprano e pianoforte della serata di sabato, nella cornice dello yacht club, con musiche di George Crumb e Claude Debussy, con il soprano Sophie Burgos e il pianista Daniel Gerzenberg. Accostando le musiche dei due compositori alterandone l’esecuzione, la proposta voleva come suggerire le relazioni tra i due mondi compositivi. Un percorso che, partendo dalle prime Early songsdel compositore americano, veniva attraversando tutta una serie di tappe della sua maturazione stilistica, con le stranianti Apparitions, su testi di Walt Whitman, le cupe atmosfere di brani come The sleeper su testo di Poe, fino a quelle più sperimentali e di impronta fortemente espressionista dello Spanish songbook, su testi di Lorca. L’alternarsi dell’esecuzione di questi brani con il clima impressionista/simbolista delle mélodies di Debussy, delle tes galantes su testi di Verlaine e dei Trois Poème de Stéphane Mallarmé, ha determinato un’immersione in un continuum poetico musicale di rara bellezza: venivano pian piano evidenziandosi, nellascolto del programma della serata, quelle che possono essere state le fonti di ispirazione debussiane del primo Crumb. Nello stesso tempo si è venuto fortemente accentuando il senso di un’evoluzione compositiva che, da questi modelli, si è venuta emancipando, per sfociare verso sonorità più contemporanee, con gli effetti percussivi del piano preparato e una vocalità che spaziava dal sussurrato, attraverso lo sprechgesang fino all’urlo. Sul piano musicale l’esecuzione del duo si è rivelata impeccabile, con un’attenta cura della timbrica e delle dinamiche nel dialogo con la voce, da parte del piano di Gerzenberg; Sophia Burgos possiede qualità vocali fortemente liriche, sia nei tratti più delicati che in quelli più incisivi. La sua interpretazione delle musiche dei due autori si è tuttavia snodata con un’eccessiva uniformità interpretativa, con un Crumb a nostro parere troppo lirico, non abbastanza ‘brutale’, con un approccio stilistico che tendeva come ad eguagliare i due mondi, un’esecuzione che si è comunque caratterizzata per una notevole eleganza, cura del dettaglio e gusto musicale.

Chiusura del festival, con l’orchestra Philarmonique de Monte-Carlo sul palco dell’Auditorium Ranieri III nel pomeriggio domenicale del giorno seguente. E’ il violino di Renaud Capuçon il protagonista, come solista, di tutta la prima parte, con un’esecuzione impeccabile delle due romanze beethoveniane inframezzate da un brano novecentesco, Sur le même accord, nocturne per violon et orchestre, di Henri Dutilleux: qui il violinista francese esce dal clima dalle sonorità e dai fraseggi morbidi della prima romanza di Beethoven e scatena una gamma ricchissima di colori, accenti, pizzicati, colpi d’arco, con un’energia che, in un certo qual modo, si farà sentire nell’interpretazione della romanza n. 2.

La conclusione con la Sinfonia n. 15 di Sostakovic, mette in evidenza un’orchestra in piena forma, con sezioni e parti solistiche motivate, condotta con piglio dal direttore lettone, Andris Poga. Con la sua conduzione è in grado di conferire un forte senso di unità e di coesione ad un discorso sinfonico denso di citazioni, digressioni tematiche e che si sviluppa con una gamma estremamente articolata di frammentazioni. E Poga riesce mirabilmente a tenere insieme, con il valido contributo delle parti solistiche dell’orchestra, il senso di tale assunto fino all’emblematica conclusione, con le sonorità in dissolvenza delle percussioni.

 

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