Melologo sì, melologo no

A MiTo una nuova composizione di Fabio Vacchi su testo di Amos Oz.

CL

13 settembre 2010 • 2 minuti di lettura

MITO Settembre Musica Milano

Non era possibile non esserci. Non c’è milanese che si definisca tale che possa mancare un concerto dedicate a musiche di Fabio Vacchi: la società civile ‘che conta’ ha dei rituali fissi: è un fenomeno antropologico interessantissimo, che meriterebbe di essere studiato più a fondo, ma che rischia di far perdere di vista il contenuto, ossia la musica. Nel caso di Vacchi, l’impegno a non voler sembrare impegnati – per chi come me è nato negli anni della caduta del muro, più o meno – è incomprensibile, non essendo stati sottoposti a torture acustiche in nome dell’ideologia. La premessa è doverosa per comprendere il trionfo che ha accolto Fabio Vacchi, Amos Oz, Moni Ovadia e Michele Serra alla fine dell’esecuzione del melologo “D’un tratto nel folto del bosco”: il testo di Oz, riadattato da Michele Serra per essere letto da Moni Ovadia, è una fiaba dai contorni oscuri a cui Vacchi ha giustapposto un’ora e un quarto di musica pressoché ininterrotta, eseguita dall’ensemble Sentieri Selvaggi guidati da Carlo Boccadoro. E già qui ci sarebbe qualcosa da contestare: questo, infatti, non è un melologo. Al contrario di altri lavori dello stesso Vacchi, qui un solo attore (anzi, una voce recitante) legge un testo che sarà sì a tempo sulla musica, ma con la quale interagisce rarissime volte e in cui è del tutto assente una drammaturgia specifica. In sostanza, il concetto chiave del melologo (cioè l’interazione di una doppia drammaturgia: musicale e scenica) è sbilanciato a sfavore del testo, reso teatralmente a grado zero: difficile giudicare, quindi, una musica scritta indubbiamente benissimo, con alcuni momenti davvero memorabili (strepitosi i colpi di lingua per clarinetto basso), ma che difficilmente si stagliano per impatto teatrale.

Interpreti: Moni Ovadia, voce recitante

Orchestra: Sentieri Selvaggi Ensemble

Direttore: Carlo Boccadoro