Macbeth riporta la “normalità” della prima alla Scala

Successo per la serata alla presenza di Mattarella, applausi per la direzione di Chailly, contestata la regia di Livermore

"Macbeth" (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
"Macbeth" (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
Recensione
classica
Milano, Teatro alla Scala
Macbeth
07 Dicembre 2021 - 29 Dicembre 2021

L'inaugurazione della stagione scaligera il 7 dicembre con Macbeth, diretto da Riccardo Chailly, comincia nel migliore dei modi. Sala piena zeppa senza distanziamenti, che fa sperare nella definitiva ripresa della normalità in teatro; più di cinque minuti di applausi calorosissimi al presidente Mattarella e ripetute richieste di bis (al Quirinale); il preludio dell'opera illustrato da una sequenza con due killer (si riveleranno essere Macbeth e Banco) che, dopo aver accoppato un po' di gente con degli spadoni, salgono in macchina e grazie a un filmato che fa arretrare prima un bosco poi una periferia cementificata dà l'illusione di essere al cinema. Eppure l'automobile è tridimensionale, proprio lì, in scena.

"Macbeth" (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
"Macbeth" (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)

Per affrontare la regia di Livermore, con le scenografie di Giò Forma e i video di D-Wok, lo spettatore deve tuttavia dimenticare quanto di misterioso, stregonesco, diabolico c'è in Macbeth (ingredienti che pure avevano indotto l'impresario Lanari a commissionare l'opera a Verdi, dopo il successo a Firenze di Robert le diable di Meyerbeer e Freischütz di von Weber). Tutto infatti si svolge in una cosiddetta metropoli “distopica” (termine che andrebbe abolito), con sul fondale immagini di grattacieli in continuo sottosopra, fino a esplodere o venire bombardati nel finale, con sezioni di palcoscenico che vanno ininterrottamente su e giù, quando non è un ascensore a spostare i personaggi, e una più stabile casa Macbeth con arredamento alto borghese di pessimo gusto (c'è pure una statua allusiva di pantera nera). Tutto questo perché i due protagonisti da eroiche incarnazioni del male sono ridotti a oligarchi di mezza tacca che vogliono salire di grado nella scala del malaffare; come le streghe, che da misteriose donne di “un'altra regione” sono declassate a semplici balorde che s'incontrano per strada (irriconoscibili per chi vedesse l'opera la prima volta). Il coro degli scozzesi che lamentano la patria oppressa figura composto da una sorta di zombi metropolitani e nel quarto atto si trasforma in proletariato che vaga attorno a una fabbrica mezza distrutta dalla bombe. Insomma lo spettacolo scorre con ritmi ossessivi, con una sorta d'incontenibile bulimia di effetti speciali, che invece di arricchire la trama, la semplificano cancellando la dimensione epica originaria e lasciando allo spettatore il rimpianto di quanto si è perso per strada: l'ignoto “soprannaturale” che fa da struttura portante. Perché sono i vaticini a determinare tutta la tragedia, un'ananke beffarda e incompresa della quale la stessa coppia assassina è vittima.

"Macbeth" (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
"Macbeth" (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)

Nella messa in scena un momento a parte, il più convincente, è rappresentato dalla coreografia inventata da Daniel Ezralow per i balletti del terzo atto. Si tratta di una pantomima alla quale partecipano i tre personaggi principali (la coppia infernale e Banco) creando uno scanzonato siparietto straniante, che invita a considerare Macbeth come la tragedia del fraintendimento.

"Macbeth" (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
"Macbeth" (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)

Quanto all'esecuzione il discorso è tutt'altro, perché Riccardo Chailly ha un controllo assoluto dell'organico in buca e delle voci in palcoscenico, un'attenzione quasi maniacale in certi passaggi ricavando sonorità ora vellutate ora pietrose. Un solo neo, lo scarso volume del concertino dei legni che crea il fantasma della cornamusa nelle seconde apparizioni, troppo lontano per essere ben udibile in sala. Per il resto l'esito è stato molto positivo. Come pure il debutto di Alberto Malazzi, succeduto a Bruno Casoni alla direzione del coro. Le voci del cast tutte di prim'ordine, il più convincente è stato Ildar Abdrazakov (Banco) per come ha affrontato il lirismo notturno del suo nobile addio alla vita nel secondo atto. Come pure Francesco Meli nei panni di Macduff, preciso, squillante, eroico. Anna Netrebko, come Lady Macbeth, è parsa più a suo agio nell'aria del brindisi e nel finale della scena del sonnambulismo (disinvolta anche come ballerina nella coreografia del terzo atto) piuttosto che come crudele manipolatrice. Non ha sufficiente carica diabolica e sgraziata, che serve al personaggio. Lo stesso accade a Luca Salsi, un Macbeth più che convincente, ma non sempre partecipe al dramma e alle sue ossessioni visionarie. Non basta la gestualità a entrare nel ruolo. Da segnalare anche Chiara Isotton (la Dama della Lady) e Andrea Pellegrini (il medico), due voci che sarebbe bello poter risentire in ruoli più impegnativi.

Al termine della serata, applausi per tutti, tranne che per Livermore che è stato subissato da buu incontenibili, ma da bravo professionista ha ringraziato sorridendo.

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