Lo sciamano compone

Standing ovation del pubblico accorso a “celebrare” il rito della sinfonia di Hermann Nitsch

Recensione
classica
Hermann Nitsch Museum Mistelbach
04 Luglio 2009
La musica ha sempre avuto un ruolo importante nelle azioni artistiche di Nitsch e non deve dunque stupire che l’artista austriaco abbia deciso di presentare una sua composizione musicale al di fuori del contesto azionistico. Con la sinfonia per grande orchestra, banda di fiati e coro “l’egiziana” (prende solo il nome dai luoghi in cui è stata concepita), Nitsch non si distacca però dalla sua idea estetica dell’opera d’arte totale, e fa agire la mastodontica compagine esecutiva all’interno del suo museo, in uno scenario suggestivo dominato dalle sue creazioni pittoriche. Lo scorrere sonoro approssimativo della musica di Nitsch è notato verbalmente e graficamente su fogli di carta millimetrata, materiali dai quali Marthé ha preparato una partitura tradizionale per l’esecuzione. Bisognerebbe chiedersi quanta della musica ascoltata sia effettivamente di Nitsch e quanta del direttore d’orchestra, che prima dell’esecuzione ha illustrato per circa 10 minuti l’estetica della partitura, dilungandosi in una sorta di guida all’ascolto per “novizi”. La sinfonia ha poco o nulla in comune con la forma sinfonica classica, è più una suite in 4 movimenti, di circa 30 minuti l’uno, connessi da un suono sempre uguale del sintetizzatore. Dai titoli dei movimenti (Esposizione violenta; Scherzo spesso sfociante nel demoniaco, Adagio meditativo, Gran finale positivo o tragico) si potrebbe dedurre che siano stati degli aggettivi a condurre il procedere compositivo di Nitsch. L’attenzione formale non è posta sullo sviluppo del materiale, ma sul suono, generalmente dilatato in lunghezza, e sulla sua connotazione timbrica (fasce e cluster), anche se nello scherzo risaltano espliciti fanfare e frammenti imitativi di chiara ispirazione mahleriana. Sono molteplici gli influssi riconoscibili nella partitura: la tradizione asiatica (risonanze di piatti e gong), Cage nel trattamento del suono come entità organica autonoma, Bruckner per la monumentalità, Skryabin, Messiaen, Scelsi, Ives, Ligeti, musica da banda, finanche un po’ di minimalismo. C’è un po’ di tutto, forse troppo, ma il risultato non è mai arbitrario o banale, ad eccezione di qualche momento caratterizzato da improvvise armonie triadiche spazializzate. Grandezza, patos, sensualità, eccesso. Sono alcuni dei termini che potremmo usare per descrivere questi suoni, ma a colpire sono soprattutto i numerosi effetti, che tuttavia riportano l’auspicata spontaneità in una dimensione forzata e la imprigionano in suggestioni illustrative che si ripetono. Ed è forse per questo che a metà opera il concetto musicale non è più così avvincente e i suoni non penetrano più con intensità nell’ascoltatore.

Orchestra: European Philharmonic Orchestra

Direttore: Peter Jan Marthé

Coro: A capella Chor Weinviertel; Stadtkapelle Mistelbach

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