Liszt e Schumann per Argerich e Pappano
A Roma con l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia prima di una tournée
Martha Argerich ha debuttato all’Accademia di Santa Cecilia quaranta anni fa, quindi relativamente tardi - era ormai famosissima e aveva già suonato in altre sale romane - ma da allora vi è tornata per ben ventiquattro concerti ma questa cifra va raddoppiata, se si considerano le repliche e le tournée. Col passare degli anni hanno cominciato ad apparire sempre più numerosi fili d’argento nella sua ribelle chioma corvina, ma il suo spirito è inossidabile e non molto è cambiato nel suo modo di suonare. Le dita sono appena un po’ meno agili e robuste di un tempo, perché nessuno può fermare il tempo, ma Martha ha sempre energia e fuoco da vendere.
Questa volta ha suonato il Concerto n. 1 di Liszt e, se una pianista quasi ottantenne (lo so, non si dovrebbe rivelare l’età di una signora, ma wikipedia la leggiamo tutti) sceglie questo concerto, è chiaro che vi vede qualcosa di più che una pirotecnica esibizione di forza e agilità, che sarebbe più adatta alle esibizioni atletiche dei tanti giovani leoni della tastiera di oggidì. Si è infatti concentrata sulla corposa sostanza musicale di questo concerto, che sotto la patina virtuosistica nasconde una forma e un contenuto tutt’altro che banali, mettendo in rilievo le atmosfere espressive e le caratteristiche timbriche estremamente contrastanti delle sue quattro sezioni, che formano un unico grande movimento. L’Allegro maestoso iniziale era maestoso di nome e di fatto, ma non enfatico; il lirismo della seconda sezione era intimo e intenso e drammatico il soliloquio in stile di recitativo del solista che interrompe l’armonioso dialogo tra il pianoforte e i fiati; magico il tintinnante brillio del pianoforte in gara col triangolo nella sezione successiva; neppure il virtuosistico finale si risolveva in pura esteriorità ma trovava un senso come trionfale affermazione del musicista-virtuoso romantico, che ovviamente è Liszt stesso. E tutto era depurato da quel sentore di retorica che è talvolta avvertibile in Liszt. Vi lasciamo immaginare il calore degli applausi, generosamente condivisi dalla Argerich con tutta l’orchestra e in particolare col triangolo, scenograficamente collocato in prima fila accanto al pianoforte. Come bis ha scelto Widmung di Schumann nella trascrizione di Liszt, che gettava un ponte tra il Concerto di Liszt e il brano successivo, la Sinfonia n. 2 di Schumann.
Sul podio stava Antonio Pappano, che ha aperto la serata con una bella esecuzione della bellissima ouverture dell’Euryanthe di Weber ed è poi stato un partner ideale della Argerich, con cui sembra avere un feeling perfetto. Per quel che riguarda Schumann, Pappano ha avuto un approccio un po’ troppo diretto e concreto a questa musica, illuminandone il primo strato e lasciandone in ombra il complesso e sottile contrappunto psicologico che vi sta dietro. Tutto traboccava di vitalità, energia e gioia, mentre Schumann stesso disse che aveva scritto questa sinfonia tra terribili sofferenze interiori. E questo si sente, si deve sentire. L’Allegro ma non troppo era velocissimo e molto energico, a scapito di quei pensieri e di quelle visioni che Schumann introduce discretamente in secondo piano ma che sono fondamentali per lo spirito di questo movimento. La melodia sublime, quasi immateriale, dell’Adagio espressivo era suonata dall’orchestra in modo vibrante, ma non è una melodia da cantare col cuore in mano, è un pensiero intimo e raccolto. Infine col ditirambico Allegro molto vivace Pappano ha entusiasmato il pubblico e gli applausi non sono mancati.
E ora Pappano, la Argerich (a cui si alternerà Francesco Piemontesi) e l’orchestra partono per una tournée con questo identico programma a Parigi e nelle cinque principali citta svizzere.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Versailles, grande successo per Polifemo di Porpora con Franco Fagioli
Apprezzate le prove di Chailly, Netrebko, Tézier e del coro, interessante ma ripetitiva la regia di Muscato