L'intimismo di Butterfly nell'immensità

Nonostante i grandi spazi e l'acustica dispersiva, il delicato intimismo di "Madama Butterfly" non è stato tradito né dalla realizzaione visiva né - soprattutto - da quella musicale.

Recensione
classica
Teatro dell'Opera di Roma Roma
Giacomo Puccini
09 Luglio 2005
Per quanto possa sembrare paradossale a chi si ricorda dei dubbi fasti spettacolari d'un tempo, adesso le Terme di Caracalla ospitano spettacoli minimalisti, fatti con niente: merito dei limiti posti dalla sovrintendenza alle antichità, che ha concesso solo pochi metri di profondità al palcoscenico e ha proibito l'uso di scene troppo pesanti. Questa è la premessa giusta per un'opera come "Madama Butterfly", che si svolge al novanta per cento con pochi personaggi in ambienti chiusi e angusti. Le scene sono risolte con un lungo ed esile ponte che s'incurva altissimo in fondo al palcoscenico, sotto il cui arco compaiono prima un cielo stellato, poi un mare ondoso ispirato a Hokusai e infine un grande ciliegio fiorito: nient'altro. La giapponeserie di maniera sono ridotte al minimo - se non eliminate del tutto - anche nella recitazione. Senza fare nulla di straordinario Renzo Giacchieri - che figura in locandina non come regista ma come autore dell'intera "realizzazione visiva" - firma così uno spettacolo pulito ed essenziale. Maria Pia Ionata fatica a reggere certe grandi arcate liriche ma coglie splendidamente gli infiniti piccoli dettagli con cui Puccini costruisce il personaggio di Cio-Cio-San, rivelando la bellezza musicale e la delicata poesia di molti passaggi che spesso passano inosservati. Roberto Aronica, eliminando anche lui il canto a pieni polmoni, coglie l'attrazione sensuale di Pinkerton per la giapponesina, che quasi si trasforma in amore superficiale ma sincero: bravo, ma attento a non nobilitare troppo questo yankee gonfio e insensibile. Giovanni Meoni e Barbara Di Castri non demeritano ma da Sharpless e Suzuki si può ricavare qualcosa di più. Mario Bolognesi è un Goro scenicamente e vocalmente perfetto. La direzione cesellata e intimista di Donato Renzetti, pur sacrificando un po' le pagine più (melo)drammatiche, raggiungeva un livello di rifinitura eccezionale rispetto a quel che generalmente offrono le rappresentazioni operistiche estive all'aperto, grazie anche all'ottima prova dell'orchestra dell'Opera.

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