A Liegi Lombardi in stile minimal
Daniel Oren sul podio dell'opera verdiana
In un’opera come I Lombardi alla prima crociata, così intrisa di cliché romantici di esaltazione della patria e della fede, è comprensibile non avere voluto sottolineare in scene e costumi il periodo storico, il modo da proporre una vicenda un po’ fuori dal tempo e dalla sua reale collocazione geografica, ma se è stato centrato l’obiettivo di rendere la vicenda più universale e potenzialmente più attuale, il risultato dell’epurazione sono delle scene davvero molto minimali, spesso sostituite solo da un bel gioco di luci colorate. A ciò si aggiunge la scelta della regista Sarah Schinasi di presentare le diverse scene come dei quadri, con spesso il coro piazzato ed i protagonisti fermi davanti a cantare verso il pubblico, quasi come in forma di concerto con costumi.
Certo la quarta opera di Verdi, con il coro tanto protagonista, non è facile da mettere in scena in modo moderno, sopratutto se non si hanno molti mezzi e tempo per provare, e qualche buona idea del secondo tempo non è riuscita ad evitare di cadere nell’eccessiva staticità complessiva. Ma dall’altra parte, a controbilanciare lo spoglio allestimento, ci hanno pensato innanzitutto la direzione del maestro Daniel Oren ed un cast di buon livello, tra cui una splendida Salomé Jicia come Giselda, ed alla fine gli applausi sono stati copiosi e lunghi per un titolo che non era stato mai dato a Liegi.
Oren si è visibilmente molto impegnato a fare funzionare bene orchestra, coro e cantanti, sul podio si è visto un po’ affaticato, ma il risultato è stato infine assai apprezzabile per l’orchestra e con in particolare un’ottima prova del primo violino Julien Eberhardt che, infatti, poi è stato meritatamente valorizzato dal direttore chiamandolo pure sul palco per gli applausi finali.
La partitura di Verdi è stata resa con la giusta ricchezza di colori, tinte forti per le scene d’insieme e tante delicate sfumature per le arie più intime, contribuendo in modo determinante a quella lettura dell’opera più personale e psicologica che eroica che ha voluto la regista. La vera protagonista della vicenda è Giselda e la sua interprete, il soprano Salomé Jicia, ha dato davvero una bella prova di bel canto, a cominciare dalla bellissima preghiera che chiude il primo atto “Salve Maria” dalle delicatissime sfumature, artista giustamente valorizzata dalla regia tanto da farla poi persino cantare innalzata su un piedistallo. Salomé Jicia ha mostrato una grande maturità d’interprete, vera forza trainante con il suo impegno, e anche la sua foga quando necessario, di tutta la compagnia di canto.
Ottima voce anche quella dell’altro georgiano del cast, il basso Goderdzi Janelidze nella parte del traditore Pagano che poi diventa eremita, la bella sorpresa della serata, voce che tuona, piena, autorevole, si avverte però nel fraseggio che non comprende l’italiano anche se la dizione è buona.
E’ sembrato sottotono invece alla prima il tenore Ramón Vargas come il musulmano Oronte innamorato di Giselda, e non adatto al ruolo il pur bravo giovane tenore Matteo Roma perché manca ancora dell’autorità necessaria per interpretare efficacemente la parte di Arvino, padre di Giselda e capo dei Lombardi. Ottima l’interpretazione del basso Luca Dall’Amico del personaggio anche complesso di Pirro, lo scudiero traditore che diventa musulmano ma pure poi si pente.
E buona prova anche degli altri cantanti che completano il cast, da Roger Joakim che interpreta Acciano, tiranno di Antiochia e padre di Arvino, alle altre due figure femminili, Aurore Daubrun come Viclinda, moglie di Arvino, e Caroline de Mahieu come Sofia, madre di Oronte. Coro a tratti un po’ in difficoltà, non ha entusiasmato il suo “O Signore, dal tetto natìo”.
Scene e costumi non aiutano in generale a comprendere bene l’intreccio ed i rapporti tra i tanti diversi personaggi, anche se le prime, di Pier Paolo Bisleri, sono comunque in alcuni momenti davvero efficaci nella loro semplicità, ad esempio, quando c’è la sola pianta della città assediata sullo sfondo e nel gioco delle pedane; mentre i costumi di Françoise Raybaud appaiono comunque di elegante creatività e di buona fattura.
Le ottime luci, fondamentali nell’impostazione intimista dell’allestimento, sono di Bruno Ciulli.
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