A Liegi dopo oltre vent’anni un nuovo “Werther”
Protagonista il tenore Arturo Chacón-Cruz, regia di Fabrice Murgia, direzione di Giampaolo Bisanti

L'ultima volta è stata nel 1999, il Werther di Massenet non era quindi rappresentato all'Opéra Royal de Wallonie-Liège da circa venticinque anni, ed è tornato con un nuovo allestimento al gusto dei tempi, con gli operatori in scena che riprendono i primi piani dei protagonisti e li trasmettono su uno schermo centrale gigante, come si usa tanto fare negli ultimi anni, le scenografie ridotte all’essenziale e i costumi che richiamo l’epoca del dramma senza essere pesanti e perché si parla di sentimenti universali e senza tempo. Anche la direzione orchestrale ha lasciato perdere merletti e ricami ed ha badato al sodo, lasciandosi trascinare dalle emozioni. La regia è del belga Fabrice Murgia, la direzione orchestrale affidata a Giampaolo Bisanti che si riallaccia più alla tradizione romantica ottocentesca tedesca che a quella francese, con accenti forti e colori orchestrali vividi, sottolineando con vigore i sentimenti d’amore e di disperazione portati alla loro estrema espressione da Werther. Quanto alla voci, per la parte del protagonista è stato chiamato il tenore Arturo Chacón-Cruz, di origini messicane che vive a Miami, malgrado la giovane età già con lunga carriera, l’anno scorso vincitore del Readers' Award agli International Opera Awards, considerato uno specialista della parte. Si è dato a fondo, anche troppo, la sua voce squillante non ha bisogno di essere spinta tanto e quando lo fa troppo rischia di sporcare il suo bel canto, oltre che di usurarsi precocemente. Ha dato il meglio di sé quando ha messo un freno all’impeto e ha cantato dolente negli ultimi due atti, a cominciare dalla celeberrima “Pourquoi me réveiller”, modulata molto bene e che ha strappato gli applausi a scena aperta, e poi morente nel commoventissimo finale in duetto con il mezzosoprano francese Clémentine Margaine che ha interpretato Charlotte. La Margaine alla première sembra che non era in perfetta forma, ma non è stata annunciata sofferente, in ogni caso non è apparsa ideale per la parte, è più una Carmen, ruolo infatti per cui è famosa, che una dolce Charlotte, comunque ha mostrato un bel timbro, una buona tecnica e buone capacità interpretative. Adatti alla parte e bravi invece il giovane soprano leggero franco-russo Elena Galitskaya nei panni di Sophie, la sorellina di Charlotte, e il baritono Ivan Thirion come Albert, il promesso sposo di Charlotte.
La scena più riuscita è quella finale che qui si svolge non nel chiuso della stanza di Werther ma nella sua tanta amata natura rappresentata solo con un tronco d’albero sradicato, abbattuto, morente come il protagonista. Ed i canti di Natale dei bambini, bravissimi della Maitrise di Liegi, arrivano quindi non dalla finestra della stanza ma dai palchi laterali del teatro da cui il giovane coro si affaccia. Infine in lontananza appare pure Albert, nella sua stanza che strappa le lettere, a sottolineare le sue responsabilità nel dramma come anche altri hanno fatto recentemente. La scelta meno felice invece è quella di fare scrivere a Werther il messaggio sul vetro della finestra di una stanza carina, le cui piccole dimensioni riflettono l’intimità e il travaglio tutto interiore di quello che vi accadrà, ma prima esageratamente illuminata con candele per rendere più romantica la scena delle lettere, con la più famosa aria di Charlotte, e poi il ritrovarsi dei due innamorati. Le scenografie sono di Rudy Sabounghi, illuminate da Emily Brassier, i costumi efficaci a riportarci indietro nel tempo, e con divertenti maschere per i ragazzini, di Marie-Hélène Balau. Nel complesso un Werther di buona fattura e nel solco della tradizione per Murgia che in altri suoi lavori ha invece attualizzato di più, qui anche l’uso delle riprese dal vivo che caratterizza le sue precedenti messe in scene è discreto, limitato solo a pochi momenti, per sottolineare i tormenti degli individui, i fenomeni atmosferici che gli fanno da cornice e per mettere ancora più in evidenza i bambini che con la loro innocenza sono fondamentali nel racconto quanto la natura. I video sono di Giacinto Caponio con eleganti bianco e nero e effetti di sfocatura molto belli, sono ripresi pure alcuni professori dell’orchestra nonché il maestro Bisanti e proiettati giganti. Completano il cast il bravo tenore Pierre Derhet (Schmidt), il baritono Samuel Namotte (Johann) e il basso Ugo Rabec che è l’impacciato papà.
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