Lady, Be Good! cento anni dopo
Riproposta, a Palermo, la prima versione del musical di Gershwin
Il musical è un genere di presenza ormai consolidata, benché alquanto irregolare, nei cartelloni operistici nostrani: d’altronde, questo genere novecentesco ha progressivamente ereditato dall’opera italiana dei due secoli precedenti il ruolo di teatro musicale denotato geograficamente nella matrice linguistica e stilistica, ma dalla fruizione eminentemente internazionale, e legato a uno star-system affacciato soprattutto sulla sua parallela dimensione cinematografica. Conoscere sulla scena gli incunaboli pre-bellici della musical comedy resta comunque un’esperienza non frequente, quindi una nota di merito va fatta al Teatro Massimo di Palermo per aver proposto, cento anni dopo la prima newyorchese, Lady, Be Good! di George Gershwin, in un allestimento ripreso dal Teatro de la Zarzuela di Madrid, con la regia di Emilio Sagi. Si tratta di un titolo di collocazione storica significativa, cadendo nello stesso anno della sensazionale affermazione di Gershwin con la Rhapsody in blue (qua e lá citata nella partitura del musical), avendo coinvolto la coppia Adele & Fred Astaire quali protagonisti, e incarnando alla perfezione una drammaturgia che si costruisce a partire da songs pre-concepiti (col fratello di George, Ira Gershwin, abilissimo come paroliere di melodie già congegnate). Sembra paradossale, perciò, che proprio il song poi divenuto più noto (The Man I Love) sia stato quasi subito tagliato nella scaletta dagli stessi autori: l’obiettivo era, con tutta probabilità, quello di sveltire il tempo drammatico, in favore delle parentesi spettacolari – come le coreografie – e delle improbabili peripezie delle coppie potenziali di personaggi, tutti alla fine felicemente sposi, lasciando da parte un autonomo ‘sogno a occhi aperti’ apertamente sostenitore dell’ideologia familiare borghese americana. Merito ulteriore dell’allestimento è stato perciò aver riproposto la primissima versione del testo, che peraltro comprende altri notevoli e coinvolgenti song o duetti (Fascinating Rhythm, So Am I, il brano del titolo).
Perno musicale dell’esecuzione è stato Timothy Brock, assai noto quale esperto ricostruttore delle partiture dei film di Chaplin, abile nel guidare l’organico dell’Orchestra del Teatro Massimo mettendone inevitabilmente in rilievo la componente a fiato e a percussione, ma senza far ‘sparire’ gli archi negl’impasti in cui questi intervengono aggiungendo colore, con un criterio inverso rispetto a quello ordinariamente ‘sinfonico’. Sul piano scenico-vocale, la realizzazione è stata inevitabilmente declinata in modalità operistica, benché tutti gli interpreti dei personaggi principali avessero un pedigrée inappuntabile nel campo del musical anglosassone: essenziali e funzionali gli interventi danzati di quest’ultimi (a parte un ampio, quasi autonomo numero di tip-tap del personaggio di Jeff White, qui Ryan Heenan), mentre le coreografie più appariscenti sono state affidate a sette coppie di danzatori, e non hanno coinvolto il Coro del Teatro Massimo, che di fatto ha esclusivamente cantato. Nel complesso, buona la media qualitativa degli interpreti sulla scena, chiamati in Lady, Be Good a un particolare sforzo d’interazione dialogico-drammatica, anche se una nasalità pronunciata nel timbro di Rhiannon Chesterman come Susie (ma forse era una scelta, un po’ radicale, per caratterizzare il personaggio ‘peperino) e piccole sbavature vocali mostrano margini di miglioramento della performance.
Pubblico numeroso, con molti stranieri (Palermo è turisticamente in piena esplosione, ma ha anche da sempre una consistente comunità di lingua inglese), e applausi generosi per tutti.
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