La Vita di Tutino

Buon esito di Vita di Marco Tutino principalmente per merito di Anna Caterina Antonacci e Michele Pertusi, protagonisti di un'opera che porta in scena l'agonia di una malata terminale di cancro

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Marco Tutino
09 Maggio 2003
Wit, pièce teatrale di Margaret Edson premiata nel 1999 con Premio Pulizer, subisce la sua seconda anamorfosi. Dopo l'aspro film di Mike Nichols con Emma Thomson (visto da chi scrive a Berlino nel 2001, ma mai distribuito in Italia) e la messa in scena a Parigi con Jeanne Moreau, diventa ora opera lirica, commissionata dalla Scala a Marco Tutino che ha chiesto il libretto a Patrizia Valduga. Un indubbio atto di coraggio il suo perché Vita (così il nuovo titolo che rasenta l'ossimoro) racconta le ultime ore di vita di un'ammalata di cancro. Un'esperienza ai confini del linguaggio, quando non oltre, ma che al linguaggio è caparbiamente abbarbicata perchè la protagonista è una studiosa di John Donne, poeta che con la morte ci andava a braccetto, e di quei versi ha fatto la sua unica ragione di vita. Mentre sullo schermo la donna filosofeggiava sulla propria condizione e lo faceva con arguzia, sottolineando la tragedia attraverso il contrasto fra l'ironia e la morte (finché lo consentono le forze), qui il libretto esteriorizza tutto e tutto semplifica. La protagonista è dolente e perduta fin dall'inizio e, a parte le tappe del decorso, non ha più storia. E a incarnare la sua passione per Donne è lo stesso poeta ad apparire in scena, in neri abiti secenteschi, e a fungere da pietoso Caronte. Il suo verseggiare contamina anche gli altri personaggi, tanto da indurre a un certo punto il dottore a tessere le lodi della cellula cancerogena tesoriera del tempo e della vita. In realtà Donne ne faceva di peggio quando cantava il lavorio dei vermi sul proprio ca-davere secondo il secentesco piacere della dissoluzione. Donne è spesso preceduto, seguito o accompagnato da un coro, con gli stessi cupi abiti, presi di peso dalla Lezione di anatomia di Rembrand. Mentre tutti gli altri personaggi in camice hanno capelli rossi, medici, infermieri e la stessa paziente, prima di divenire completamente calva. La regia di Giorgio Gallione e le scene e costumi di Guido Fiorato creano uno spettacolo coerente e di grande impatto visivo. Lo spazio del Teatro Studio di Milano li ha indotti a costruire il tutto al centro della sala, con gli spettatori a ferro di cavallo, il piccolo organico di una ventina di strumentisti è invece sul palco a buona distanza dai cantanti (impiccio superato dai televisori appesi tutt'intorno in sala per permettere loro di vedere Giuseppe Grazioli sul podio). La scena è interamente occupata da un catino di metallo tagliato a spicchi, con un incombente modello anatomico tridimensionale, con vasi sanguigni, muscoli e organi vari a vista. Dall'altro scendono lettini, dal basso s'innalza una pedana illuminata di rosso sanguigno da sotto. Non c'è Grand Guignol, ma sia la visita ginecologica sia la flebo alla moribonda non passano senza qualche apprensione da parte dello spettatore. La musica di Tutino accompagna la vicenda con gradevolezza e qualche sgradevolezza (bruttino il valzer fratto che porta con sé ovvietà di recitazione da cabaret espressionista), ma senza però prenderse interamente carico. I modelli vocali sono di diretta derivazione pucciniana (con echi di Poulenc) e quindi di facilissima comunicativa, mentre l'orchestra ha buon gioco nel commentare con qualche strizzata d'occhio al minimalismo i momenti di maggiore tensione con archi e insistiti timpani amplificati. Il risultato è un commento musicale che risulta come arretrato rispetto alla vicenda. Il vero merito del successo, perché nonostante l'argomento d'indubbia durezza il pubblico ha generosamente applaudito, va però agli interpreti. Prima fra tutti Anna Caterina Antonacci che si è accollata un ruolo pesantissimo senza mai sottrarsi all'impegno. Poi Michele Pertusi, strappato al suo abituale repertorio rossiniano, ma perfettamente a suo agio come fantasma di John Donne, e infine Laura Cherici, l'infermiera vestita di rosso, che ha a disposizione una lunga aria, musicalmente forse il momento migliore della serata.

Note: Prima esecuzione assoluta

Interpreti: Anna Caterina Antonacci, Michele Pertusi, Laura Cherici, Keith Olsen, Giovanni Battista Parodi

Regia: Giorgio Gallione

Scene: Guido Fiorato

Costumi: Guido Fiorato

Direttore: Giuseppe Grazioli

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