La versatilità del Quartetto Jerusalem

Milano: al Quartetto inizia un ciclo dedicato agli ultimi sei quartetti di Beethoven e ai sei di Bartók

Quartetto Jerusalem (Foto Ivan Nocera)
Quartetto Jerusalem (Foto Ivan Nocera)
Recensione
classica
Sala Verdi del Conservatorio “Giuseppe Verdi”, Milano
Quartetto Jerusalem
15 Gennaio 2019

Ampia presenza di ascoltatori nella Sala Verdi del Conservatorio per il primo concerto del ciclo dedicato agli ultimi sei quartetti di Beethoven e ai sei scritti da Bartók, organizzato dalla Società del Quartetto. Il pubblico milanese – per il quale l’associazione è tout court il “Quartetto” – sembra ancora essere affezionato alla forma più emblematica del repertorio da camera: non solo capigliature bianche ma anche tanti volti giovani nella Sala Verdi, poco ‘cameristica’ forse nelle dimensioni ma di certo luogo dall’acustica particolarmente limpida, capace di restituire all’ascoltatore ogni minimo respiro musicale dell’esecutore. Interessante questo connubio tra i due compositori, testimonianza di un ponte che, coprendo un arco di tempo di circa un secolo, unisce due modernità. La prima è quella del musicista di Bonn, che partendo dalla lezione classica di Haydn e Mozart, si cimenterà col quartetto attraverso sperimentazioni che, negli ultimi lavori, arriveranno a risultati particolarmente in avanti rispetto alla propria epoca. La seconda è quella di un autore che pure farà di questa forma una sorta di fucina, all’interno della quale fondere gli elementi della tradizione con quelli di un proprio originale linguaggio formale e armonico allo stesso tempo.

Apertura di questo ciclo – si estenderà fino all’autunno di quest’anno e vedrà la presenza di sei diverse formazioni – affidata al Quartetto Jerusalem, che si è confermato uno tra i gruppi cameristici più interessanti del nostro tempo, capace di entrare perfettamente nello spirito di opere così diverse come il Secondo Quartetto di Bartók e l’op. 127 di Beethoven. Il concerto si è in realtà aperto con quella pagina solare che è rappresentata dal secondo dei quartetti dell’op. 18 di quest’ultimo, caratterizzato sia dalla giovialità del primo movimento che dalla grazia ritmica del minuetto e dalle originali soluzioni del successivo Tema con variazioni. Naturalezza è sembrata subito la parola d’ordine della cifra interpretativa dei quattro esecutori, perfetti nell’affiatamento e capaci di restituire una qualità del suono di altissimo livello. Soprattutto nel lavoro di Bartók, scritto negli anni della Grande Guerra, si è ascoltata una gamma eccezionale di colori timbrici, con cui il Quartetto Jerusalem ha affrontato sia i complessi ritmi popolari del secondo movimento che l’autore abbina all’uso del pizzicato, sia l’atmosfera rarefatta del Lento che conclude il brano. E poi una grande lettura dell’op. 127, con cui Beethoven nel 1824/25 ritorna al quartetto dopo un silenzio di circa dodici anni, proiettandolo verso orizzonti nei quali forma e contenuto vengono ormai modellati in base alle più profonde esigenze espressive del compositore. Ancora una volta ha colpito la densità e al tempo stesso la purezza del suono prodotto dai quattro strumenti ad arco, ma anche l’eleganza con cui è stata restituita, per esempio, la splendida scrittura dello Scherzo, dove sembra emergere limpida l’essenza di quel profondo e intimo dialogo che è alla base stessa dell’idea di quartetto.

 

 

 

 

 

 

 

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