La musica delle donne

A Venezia il Palazzetto Bru Zane celebra l’8 marzo con il tradizionale concerto con composizioni di Virginie Morel, Charlotte Sohy e Mel Bonis

Marie Vermeulin (Palazzetto Bru Zane)
Marie Vermeulin (Palazzetto Bru Zane)
Recensione
classica
Venezia, Palazzetto Bru Zane
Il campo del possibile
08 Marzo 2022

Dopo una celebrazione a porte chiuse causa pandemia nel 2021, torna alla presenza di un folto pubblico l’oramai tradizionale concerto del Palazzetto Bru Zane dedicato alla Giornata internazionale dei diritti delle donne. Se lo scorso anno era la grande cantante Pauline Viardot protagonista unica del concerto, nel 2022 la scelta è caduta su tre compositrici francesi, esponenti di tre stagioni culturali molto lontane: Virginie Morel, Charlotte Sohy e Mel Bonis.

Antipasto al concerto, anche questo da tradizione, lo stimolante intervento “Quando le donne si misero a comporre” di Monique Ciola, molto agguerrita nel rovesciare alcuni radicati luoghi comuni su una presunta minor propensione femminile al comporre musica attraverso un documentatissimo excursus storico fatto di immagini e di vite “esemplari” di creatività musicali femminili sacrificate sull’altare della ragion familiare e delle convenzioni sociali. Alcune evidenze iconografiche testimoniano di un coinvolgimento attivo delle donne in attività musicali fin dalla preistoria e in seguito anche nelle civiltà egizia e romana. Robusta era anche la presenza di donne anche nella tradizione trobadorica medievale, con Beatriz De Día fra le personalità più note. Qualcuna riuscì a sfondare il soffitto di cristallo, particolarmente spesso nel mondo musicale. Esempi? Maddalena Casulana, la prima a pubblicare sue composizioni (e nella dedica alla duchessa di Bracciano del suo Primo libro de madrigali a quattro voci del 1568, orgogliosamente scrive: “il vano error de gl’huomini, che gli alti doni dell’intelletto tanto si credono patroni, che par loro, ch’alle Donne non possono medesimamente esser communi”). Oppure Elizabeth Jacquet de la Guerre, compositrice e interprete dagli lusinghieri riconoscimenti già in vita. O ancora Isabella Leonarda, la “musa novarese”, monaca e compositrice, anche lei capace di far pubblicare suoi lavori. Per queste storie di successo, numerosissime furono quelle assai meno fortunate, come quella dell’austriaca Marianna von Martines, prolifica compositrice ma per diletto poiché per il suo elevato status sociale le era precluso un percorso professionale nella musica. Oppure quella della milanese Maria Teresa Agnesi, le cui composizioni, mai pubblicate, andarono in gran parte perdute, o ancora quella della romana Maria Rosa Coccia, brillante musicista ma la cui promettente carriera di “maestra di cappella” fu invalidata da feroci quanto infondate ingiurie sulle sue reali capacità. Non andò molto meglio alla sorella di Mozart, Maria Anna “Nannerl”, o a quella di Felix Mendelssohn, Fanny, per la quali la formazione musicale fu al più funzionale a cercare un buon partito e sistemarsi come mogli. “Comporre è un processo così lento che molte donne, storicamente, non hanno avuto il tempo di dedicarvisi per motivi sociali” affermava Kaija Saariaho in una recente intervista e certamente fu questo, secondo Monique Ciola, un grosso ostacolo per moltissime musiciste di talento, come ad esempio Clara Wieck Schumann, madre di otto figli, costretta, scomparso il marito Robert, a rinunciare alla composizione per dedicarsi alla più redditizia attività di concertista e, più tardi, di docente per mantenere i figli.

A dare la misura più tangibile di una perdurante disparità, ci sono naturalmente anche i numeri: il semplice calcolo della presenza di composizioni di donne conferma la schiacciante maggioranza maschile fra i compositori presenti nei programmi concertistici sia nella classica che nella contemporanea, fenomeno non certo solo italiano come documento anche in due recenti studi sulla realtà musicale in Germania di cui abbiamo riferito un anno fa. In un contesto non certo favorevole alla creatività musicale femminile, il Palazzetto Bru Zane rappresenta un’eccezione positiva con circa il 35% di donne compositrici fra gli autori presentati nella stagione 2021/22 e il 29% di composizioni eseguite composte da donne. Numeri probabilmente destinati a aumentare nella prossima stagione, quando uno dei due festival in programma nella sede veneziana sarà interamente dedicato a composizione di donne.

Marie Vermeulin (Palazzetto Bru Zane)
Marie Vermeulin (Palazzetto Bru Zane)

Venendo al concerto, non fu molto diverso il destino delle tre compositrici scelte per il programma intitolato “Il campo del possibile” interamente dedicato alla musica per pianoforte, strumento obbligato nel percorso formativo per le musiciste fra il XVIII e il XX secolo ma anche scelta inevitabile, viste le ridotte opportunità di accesso e di conoscenza di organici più vasti e articolati come quelli orchestrali. Aprivano il programma gli Huit études mélodiques di Virginie Morel, pianista talentuosa ammirata anche da Méhul, allieva di Reicha, Clementi e Hummel, e “protegée” della duchessa di Berry, che le combinò il matrimonio con un ufficiale dell’esercito. Per lunghi anni fu costretta ad abbandonare l’attività musicale per seguire il marito a lungo di stanza in Algeria. Le cose cambiarono nel 1847 con il pensionamento del coniuge e il trasferimento in Francia, in seguito al quale riprese l’insegnamento del pianoforte e a comporre per il suo strumento d’elezione. Dedicati a Louise Farrenc, altra donna compositrice, gli Huit études mélodiques appartengono dunque alla ripresa dell’attività compositiva di Morel in età matura. Come il titolo denuncia, si tratta di composizioni di carattere didattico ma che sollecitano all’interprete una risposta sia sul piano tecnico (specialmente l’ultimo virtuosistico brano, “Le papillon”) che espressivo, come suggerisce il “mélodiques” nel titolo, che descrive il delicato melodismo di natura intimista delle otto brevi composizioni a programma.

Ci porta decisamente nelle atmosfere di inizio XX secolo Charlotte Sohy con la sua Sonate, composta a 23 anni nel 1910. Allieva di Vincent d’Indy alla Schola Cantorum e autrice di un catalogo non sterminato ma molto vario, saldò con il compositore e direttore d’orchestra Marcel Labey un solido legame non solo sentimentale (la coppia avrà sette figli) ma anche artistico, Charlotte Sohy utilizzò spesso uno pseudonimo maschile, cioè il nome del nonno Charles Sohy, per evitare gli abituali ostacoli alle composizioni firmate dalle donne. Fu anche il caso anche della Sonate, attribuita dal recensore de Le guide musical, riportato nel programma di sala, a tale “Monsieur Sohy”, di cui si elogiava la capacità saper “dire quello che vuol dire e non vuole dire troppo”. Lavoro improntato a un certo equilibrio interno, dopo l’“Animé” del primo movimento dal carattere demoniaco lisztiano stemperato di un lirismo crepuscolare, la Sonate presenta un più interessante “Lent” fra trasparenze debussyane e increspature di accordi dissonanti. Il “Vif” conclusivo in forma di rondò è quasi una danza dal carattere marcatamente virtuosistico.

Chiudeva il programma la curiosa galleria di ritratti femminili di Femmes de légende della prolifica Mélanie Hélène Bonis, meglio nota come Mel Bonis, pseudonimo meno apertamente femminile consigliato del poeta e suo grande amore Amédée Hettich, ancora una volta per evitare i soliti ostacoli alla pubblicazione dei manoscritti. Sotto il titolo, deciso dall’editore Furore nel 2003, si raccolgono sette pezzi ispirati a figure mitologiche o letterarie composti fra il 1909 e il 1925: Mélisande op. 109, Desdémona op. 101, Omphale op. 86, Ophélie op. 165/1, Viviane op. 80, Phœbé op. 30 e Salomé op. 101/1. Non sono pezzi descrittivi o narrativi, ma le eroine eponime sono ritratte o piuttosto evocate attraverso l’elemento che più le distingue: sognanti sonorità liquide per Mélisande e Ophélie, brusche mutazioni tematiche e ritmiche (con ombre quasi espressioniste) per la volubile Salomé, aerei movimenti ascendenti per Phœbé.

Alla pianista Marie Vermeulin toccava il compito di operare una sintesi fra sensibilità e mondi culturalmente così lontani. Fin troppo perentorio in Morel, decisamente più delicato nel restituire le rarefazioni sonore di Sohy e soprattutto di Bonis, il pianismo di Vermeulin si imponeva comunque con l’autorevolezza dell’interprete di valore in un repertorio ancora largamente inesplorato ma che ripaga ampiamente l’ascoltatore curioso.

Pubblico numeroso, molti applausi e per bis un altro piccolo pezzo prezioso di Charlotte Sohy.

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