La Genesi (indonesiana) di noi

Nelle tre ore luminosamente perfette, gestualmente sacrali firmate da Robert Wilson non vediamo un complicato e "politically boaring" collage di Oriente e Occidente, ma siamo di fronte ad un vero magistrale riuscito rito spirituale "mondiale", che traduce sulla scena, un perché siamo nati alla vita accoppiati, facendo bambini nella rabbia e nella gioia, nel sublime abbraccio e nell'ira sanguinaria.

Recensione
classica
Ravenna Festival Ravenna
Robert Wilson su musiche di Rahayu Supanggah
18 Giugno 2004
I La Galigo non è un refuso: è un nome. Il nome di un umano nipote di una nonna del Mondo di Sopra e di un nonno del Mondo di Sotto. Il Mondo di Mezzo, ovvero quello sulla Terra degli umani, è distrutto, deserto dopo un ciclo. Gli Dei della religione del popolo Bugi, del Sulawesi, Indonesia del sud, nello sterminato poema "Sureq Galigo" tramandato per secoli da una linea di trasmissione cantata da sacerdoti ("bissu"), decidono che si deve ripopolare l'umanità. I La Galigo è il figlio del maschio dei due gemelli nati dall'unione divina: già nel ventre materno i gemelli, maschio e femmina, si amavano, e solo dalla rinuncia a quell'amore potenzialmente incestuoso, dall'accoppiarsi del gemello lui con una bellissima cugina cinese della bellissima gemella lei, nascerà I La Galigo, da cui nasce la nostra stirpe umana. Visto in scena, nelle tre ore luminosamente perfette, gestualmente sacrali firmate da Robert Wilson (ah, la "low motion" di Wilson che ancora ci incanta a trent'anni da "Einstein on the beach" del 1976, con Glass ad Avignone!) per questo spettacolo "I La Galigo", proposto in Italia da un Ravenna Festival che si candida a miglior festival 2004 di una stanca estate, il poema è molto più chiaro di questo patetico tentativo di sinossi. La novità di questa produzione (che è andata in prima mondiale in marzo a Singapore e si è poi vista a Lione, Amsterdam, Barcellona, e che si vedrà ancora a Madrid e New York-Lincoln Center) è che le musiche sono state scritte da un compositore contemporaneo vivente e presente indonesiano, Rahayu Supanggah, uno che ha lavorato anche con Peter Brook e studiato etnomusicologia a Parigi; e che le coreografie sono di Andi Ummu Tunru, che conosce la tradizione indonesiana ma egualmente la danza contemporanea, e che la sceneggiatura di questo aereo, sterminato, spettacolo l'ha affettata Rhoda Grauer, una autrice televisiva americana che da anni vive a Bali. Così, finalmente, non vediamo un complicato e "politically boring" collage di Oriente e Occidente, non veneriamo sonnecchiando un capolavoro della tradizione dell'Estremo Oriente assopendoci al centesimo meraviglioso e perfetto mudra, non ci imbamboliamo come Debussy al gamelan, ma siamo di fronte ad un vero magistrale riuscito rito spirituale "mondiale", che traduce sulla scena, vegliati da un vero sacerdote al proscenio che sfoglia simbolicamente le pagine di quella Genesi indonesiana, un perché siamo nati alla vita accoppiati, facendo bambini nella rabbia e nella gioia, nel sublime abbraccio e nell'ira sanguinaria. Con una laica finale predisposizione a darsi da fare, nella bellezza e nella relazione con gli altri umani del Mondo di Mezzo, ora che gli Dei ci hanno sbarrato il Mondo di Sopra e il Mondo di Sotto per evitare altri casini.

Note: In esclusiva per l'Italia

Interpreti: Attori, danzatori, musicisti indonesiani e maestri di arti marziali (Sulawesi del Sud, Bali, Java e Sumatra Occidentale)

Regia: Robert Wilson

Scene: Robert Wilson

Costumi: Joachim Herzog

Coreografo: Andi Ummu Tunru

Direttore: Rahayu Supanggah

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