La fresca estate dell'Accademia Filarmonica Romana

Si è chiusa la rassegna Desideria, dall'oud al fado al samba

Recensione
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Una giornata particolare. Non si tratta però del film di Ettore Scola che uscì nel 1977, come pure in realtà non si tratta di una, ma di molte giornate particolari. Sono quelle che il festival estivo dell’Accademia Filarmonica Romana ha proposto in queste calde giornate, invitando il pubblico della Capitale a ritrovarsi nella quiete serale della storica sede in Via Flaminia, al fresco dei suoi Giardini e nei raccolti ambienti della Sala Casella e della Sala Affreschi. Per assistere a uno spettacolo dopo l’altro, visitare una mostra, intrattenersi bevendo una birra fresca accompagnata dalla gastronomia in perfetto stile street-food. Proposte particolari dunque che sotto il titolo di Desideria quest’anno si sono alternate dal 26 giugno fino a sabato scorso, 15 luglio, coinvolgendo artisti provenienti da ogni parte del mondo, con intere giornate di volta in volta dedicate a singole nazioni o a specifici temi artistici e culturali.

L’estate è il momento migliore per allargare gli orizzonti al mondo intero, proprio per soddisfare il desiderio di curiosità al quale il titolo dell’edizione 2017 sembra alludere chiaramente. Curiosità che è stata pienamente appagata da serate come quella inaugurale, protagonista per la prima volta la Repubblica di Corea, con la presenza di Moko Music (Modern Korea Music), ensemble nato nel 2014 e formato da interpreti coreani di musica tradizionale e musicisti di formazione classica.

Impossibile poi resistere al fascino del fado proposto il 3 luglio dalla cantante Cristina Madeira de Sousa, nata a Lisbona e che proprio nella tradizione musicale portoghese ha trovato la sua massima espressione artistica, o alle suggestioni della musica giapponese nel concerto del giorno successivo, intitolato Fiori di loto e caratterizzato dalla presenza delle musiche di Tōru Takemitsu e Toshio Hosokawa.

Attraverso gli appuntamenti dedicati a giovani interpreti italiani, gli omaggi a Ennio Morricone e a Luigi Pirandello (ricordando i 150 anni dalla nascita dell’artista), il festival è riuscito a dare una ventata di freschezza particolarmente gradita nel periodo estivo, concludendosi, proprio a metà del mese di luglio, con l’atteso concerto/spettacolo intorno a Shakespeare e al suo A Midsummer Night’s Dream. Presentato in lingua originale, seguito con molto interesse da un pubblico in cui spiccava la presenza di diversi stranieri, lo spettacolo è riuscito a movimentare felicemente la serata anche grazie alle varie incursioni che, a sorpresa, hanno portato la scena in vari angoli dei giardini.

Tra le giornate che più si sono caratterizzate per la capacità di approdare verso nuovi territori musicali, dando soddisfazione ai Desideria che il festival – del resto quando se non all’interno di un festival si può osare tanto? – voleva suscitare e appagare, merita raccontare quella del 5 luglio, quando si sono alternate sul palcoscenico della sala Casella due formazioni, per presentare le tradizioni musicali rispettivamente del Maghreb e dell’India. La formula dei due concerti serali (alle ore 20 e alle ore 21.45, con un adeguato intervallo per i piaceri del palato) funziona sempre egregiamente, anche se penalizza in parte gli appuntamenti del primo orario: Roma alle otto della sera è ancora in magmatico movimento. Non tantissimi ma sicuramente privilegiati gli ascoltatori del concerto di apertura in cui Ziad Trabelsi ha suonato l’oud, uno tra i più affascinanti strumenti della musica araba e iraniana, in un programma dove erano presenti sia il liuto – che proprio dall'oud trae origini – sia il colascione e le percussioni. Tra canti e ritmi sempre suggestivi ecco dunque che l’incontro tra mondo arabo e mondo occidentale è stato raccontato da Ziad Trabelsi e dagli altri musicisti che suonavano con lui, trasportando il pubblico ora in mezzo ai colori inconfondibili del deserto, ora sulle rive del Tigri e dell’Eufrate, accostando poi brani di autori come Hieronymus Kaspeberger che hanno immediatamente acquisito un sapore molto più prossimo all’area mediterranea di quanto normalmente si possa immaginare.

Altamente suggestivo l’appuntamento che è seguito alle 21.45 con le tradizioni dell’India. Dhyana, questo il titolo, è un termine che proviene dalla radice dhi (mente) e yana (movimento) e indica una sofisticata tecnica meditativa che richiede una profonda concentrazione mentale. Definire "concerto" quello che Krishna Mohan Bhatt (al sitar), Sougata Roy Chowdhury (al sarod) e Nihar Mehta (alle tabla) hanno realizzato per il pubblico della Filarmonica è assolutamente riduttivo. Poteva apparire un raffinato gioco di improvvisazione, ma sicuramente si è trattato piuttosto della graduale ricerca di una profonda assonanza spirituale, religiosa e, soltanto dopo, musicale, tra i tre artisti. Il coinvolgimento del pubblico è stato grande, immerso in un flusso continuo di suoni tali da suscitare come un’esperienza mistica, un senso di generale sospensione. Una intensità che è gradualmente aumentata, realizzando un’esperienza di ascolto che davvero è difficile rendere a parole e che si è protratta per quasi due ore, trascorse letteralmente come se il tempo avesse lasciato i presenti liberi dai propri vincoli per tutta la serata.

Di tutt’altro sapore le proposte che si sono avvicendate lunedì 10 luglio. La giornata si è aperta sotto l’egida dell’Austria, con un Tramonto viennese a colpi di Geißbock (una cornamusa molto popolare nell’Ottocento in area tedesca) e scacciapensieri. Albin Paulus, vero virtuoso di questi due strumenti, ha letteralmente incantato il pubblico grazie ai brani di Weißmann e Albrechtsberger che sfruttavano le particolari sonorità, mentre le altre musiche in programma, affidate ai musicisti del Concilium Musicum Wien, hanno un po’ risentito di un’interpretazione più tradizionale e meno coinvolgente.

Cosa che non si può affatto dire dell’effervescente spettacolo proposto, a seguire nella stessa giornata, da Zé Galía, il musicista di Porto Alegre che ha raccontato una storia musicale tutta brasiliana e intitolata Sambrasil. Le origini, gli sviluppi, i cambiamenti del samba – occorre ricordare che si dice «il samba e non la samba» – attraverso una ricca sequenza di brani, a iniziare da quel "Pelo Telefone", registrato esattamente nel 1917, che rappresenta la nascita ufficiale del samba, e proseguendo attraverso tutte le vicissitudini che, per esempio, hanno dato vita alla bossa nova. Zé Galía ha saputo dar vita a una serata particolarmente apprezzata dal pubblico romano, sottolineando con le proprie parole, con la propria chitarra e soprattutto con la propria calda voce, che il samba innanzitutto si fa col cuore e, di conseguenza, parla al cuore di chi lo ascolta e si fa coinvolgere dai suoi ritmi e dalle sue armonie.

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