Koopman e Händel, un binomio perfetto

Il direttore olandese esegue il Messiah con i complessi di Santa Cecilia

Recensione
classica
Accademia di Santa Cecilia Roma
23 Marzo 2017
Da tempo, come altri padri delle esecuzioni con organici ridottissimi e "strumenti originali", Ton Koopman ha cominciato a dirigere anche orchestre di grandi dimensioni che usano strumenti moderni, trovando un più che accettabile compromesso tra "filologia" e prassi musicale corrente. Se infatti eseguire la musica d'un lontano passato cercando di ricostruirne la veste sonora originale ci ha aiutato a capirla meglio, d'altra parte la grandezza di certi capolavori va al di là di un'adesione pignola a certe regole. E poi il barocco non conosceva la filologia: da un'esecuzione all'altra gli organici variavano, le tonalità cambiavano, intere parti venivano aggiunte o tagliate, senza contare l'ampio margine d'improvvisazione nella realizzazione sia del basso che degli abbellimenti delle parti melodiche. Koopman si è sentito quindi libero di attingere alle varie versioni originali del capolavoro di Haendel, che presentano notevoli differenze, e di costruirsi per questa esecuzione romana un suo Messiah, scegliendo le arie e i cori da lui ritenuti "non soltanto i più belli ma i più organici per il risultato d'insieme". Ne è venuto un Messiah corto, della durata di un'ora e tre quarti rispetto alle abituali due ore e un quarto o due ore e mezza. In considerazione delle dimensioni dell'auditorium, molto superiori a quelle delle sale antiche, Koopman ha inoltre portato il coro a cinquantacinque elementi rispetto ai venti-ventiquattro al massimo su cui poteva contare Händel. Ma a voci e strumenti ha chiesto il rispetto delle prassi esecutiva barocca: poco vibrato, fraseggio corto, ritmica nitida, attenzione all'esecuzione dei trilli e dell'ornamentazione. Coro e orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia hanno risposto benissimo, con precisione, leggerezza e trasparenza che permettevano di cogliere ogni dettaglio. I quattro solisti erano i tipici cantanti da oratorio, che non mettevano in primo piano se stessi ma si ponevano al servizio della musica e della sua sacralità; forse non hanno pienamente valorizzato l'ampia gamma espressiva dei vari numeri, ma si sono fatti apprezzare per la loro esecuzione accurata e raffinate. E si inserivano perfettamente in questa interpretazione del Messiah, che non ha la varietà e la drammaticità di altri oratori di Händel, ma invita a una tranquilla serenità, a un fiducioso abbandono alla divinità, a un'attesa speranzosa della resurrezione alla fine dei tempi. In definitiva un'esecuzione praticamente perfetta, anche se ci si può chiedere se cercare di riprodurre con una grande orchestra e in una grande sala le caratteristiche di un'esecuzione con strumenti originali sia una scelta vincente. Tra poco Pappano dirigerà una Passione di Bach nella stessa sala, ma presumibilmente senza avere rimorsi per l'uso di un coro e di un'orchestra "moderni": sarà interessante un confronto.

Interpreti: Yetzabel Arias Fernandez, Maarten Engeltjes, Tilman Lichdi, Klaus Mertens

Orchestra: Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Direttore: Ton Koopman

Coro: Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Maestro Coro: Ciro Visco

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