Kavakos a Ravenna: un grande, grandissimo violinista e un grande direttore in una sola persona

Mozart e Brahms: interpretazioni diversissime e risultati egualmente splendidi, con l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini in gran spolvero

Kavakos e l'Orchestra Cherubini
Kavakos e l'Orchestra Cherubini
Recensione
classica
Palazzo Mauro De André
Concerto Kavakos
12 Giugno 2019

A pochi giorni di distanza dal concerto con Muti e Pollini l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini è tornata al Ravenna Festival con un altro  grande solista e con un direttore meno noto che forse dovremmo cominciare a considerare grande: questo solista e questo direttore sono però la stessa persona, Leonidas Kavakos, l’ennesimo grande violinista che ha deciso di alternare l’archetto e la bacchetta. In programma Mozart nella prima parte e Brahms nella seconda. Mozart era perfettamente limpido ed equilibrato , ma non sottoposto a quel processo di lavaggio con candeggina prima e stiratura con amido poi a cui spesso lo si sottopone, pretendendo così di esaltarne la “perfezione classica”. Iniziando con il Concerto n. 3 K 216 Kavakos riesce a rendere invece tutta la vitalità, la mobilità e l’imprevedibilità di Mozart, grazie  alla sua capacità unica e inimitabile di dare col suo violino a ogni gruppo di due, tre o quattro note – e al limite ad ogni singola nota – un proprio colore, un proprio peso, una propria inflessione, una propria tornitura, senza che ciò appaia ricercato, manierato, gratuito: probabilmente dietro c’è un attento studio ma il risultato è assolutamente naturale e fa emergere con totale evidenza il carattere, il senso, la funzione di ogni singolo inciso all’interno di un discorso complessivo sempre fluente e vario. Come ai suoi tempi Mozart stesso faceva a Salisburgo , Kavakos assume le vesti di Konzertmeister, cioè di solista e direttore d’orchestra: in questi casi il violinista in genere dà continuamente qualche segnale all’orchestra con lo sguardo, la testa e le spalle, ma Kavakos no, lo ritiene superfluo, si occupa dell’orchestra solo nei rari momenti in cui non è impegnato col violino: il suo esempio e la ricettività dei giovani strumentisti sono tutto quel che ci vuole ad assicurare un’esecuzione precisa ed equilibrata e uno stretto dialogo tra solista e orchestra. Segue un bis bachiano (Adagio dalla Sonata per violino solo n. 1 in sol minore).Posato il violino, Kavakos dirige – senza bacchetta -  la Sinfonia n. 31 K 297, scritta da Mozart a Parigi a ventidue anni. Non un capolavoro assoluto, ma molto più interessante di quanto ci era sembrata in altre esecuzione  appiattite su uno stile genericamente “mozartiano”. Anche qui Kavakos è stupefacente per come sappia cogliere la specificità sia di ogni più piccolo inciso sia di un intero movimento. Il primo movimento si addobba di quei pennacchi pomposi di trombe e timpani tipici di tanta musica in re maggiore, che fanno molto Versailles, ma che con Mozart diventano anche giocosi, allegri, chiassosi. Nel movimento finale invece Mozart non si trattiene dal far ascoltare al pubblico parigino quel che egli stesso  aveva appena imparato passando per Mannheim e ascoltando  quell’orchestra e quei sinfonisti: l’orchestra  rinuncia ai pennacchi sgargianti ed è molto più compatta, densa, ricca, con il substrato contrappuntistico ben evidenziato: insomma è più tedesca. E naturalmente sono bene in vista le specialità di Mannheim, che lasciavano stupiti chi veniva da fuori: soprattutto i crescendo e i diminuendo ma anche i passaggi velocissimi, a rotta di collo. Un soggiorno a Mannheim era bastato a Mozart per scrivere quello che può essere considerato il più bel brano nello stile di Mannheim, surclassando i tutt’altro che disprezzabili musicisti di quella scuola.Molti gli applausi dopo questi due Mozart, e dal modo in cui Kavakos li condivide con l’orchestra si capisce  che non è semplicemente molto soddisfatto di quei giovani colleghi e che c’è qualcosa di più, che è scattata un’intesa speciale. Lo conferma la Sinfonia n. 1 di Brahms, che Kavakos - ennesima trasformazione - dirige con la bacchetta. Da Karajan in poi – quindi diciamo da mezzo secolo in qua – molti direttori fanno un Brahms acquarellato, chiaro, trasparente,  intimista: ne abbiamo sentiti di meravigliosi. Ma Kavakos fa un Brahms all’antica, ottocentesco, romantico. Nel primo movimento il suono dell’orchestra è robusto, pieno, scuro, come pretende il do minore, e le frasi si accavallano a folate, a ondate, e l’ascoltatore è sommerso e travolto da questa cupa e minacciosa tempesta sonora. I giovani della Cherubini suonano con la passione che Kavakos sollecita e si tuffano anima e corpo in questa musica: un’orchestra professionale saprebbe ottenere un fortissimo non inferiore ma non avrebbe l’energia interiore di questi giovani. Riescono un po’ meno bene sia le poche oasi di tranquillità di questo primo movimento sia il terzo movimento, “Un poco allegretto e grazioso”: qui manca un po’ la sapienza nel dosare al millimetro l’intensità, nel calibrare perfettamente i dialoghi tra gli strumentini, ma verranno con l’esperienza. Il quarto movimento è sulla lunghezza d’onda del primo ma vorremmo finire – al diavolo la consecutio temporum– col secondo, “Andante sostenuto”:  il tempo è moderato, le dinamiche contenute, ma ogni frase è tirata e tesa allo spasimo, con i ‘solo’ del primo violino (che, per intenderci, era una “prima violina”: come diamine si può dire?) di un’intensità mai ascoltata, anche quando a suonare erano orchestre di alto lignaggio. Applausi entusiastici, che Kavakos ha voluto condividere in parti uguali con l’orchestra e non certo pro forma: ha ringraziato ripetutamente il primo violino Valentina Benfenati e poi il primo corno Stefano Fracchia, il timpanista Simone Di Tullio e altri ancora, distribuendo tra tutti le rose rosse che gli erano state donate.  

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