Iván Fischer e la Budapest Festival Orchestra conquistano Ravenna

Due grandi interpretazioni della Sinfonia n. 3 di Brahms e di Sheherazade di Rimskij-Korsakov

Iván Fischer e Budapest Festival Orchestra (Foto Zani-Casadio)
Iván Fischer e Budapest Festival Orchestra (Foto Zani-Casadio)
Recensione
classica
Ravenna Festival, Palazzo Mauro De André
Iván Fischer e Budapest Festival Orchestra
28 Giugno 2022

Al Ravenna Festival è arrivata la Budapest Festival Orchestra, che ha invaso la città con vari concerti, in cui suoi singoli musicisti o gruppi di musicisti hanno suonato fianco a fianco con giovani musicisti italiani. E si è esibita al gran completo in un concerto che, grazie alla combinazione di quest’eccellente orchestra e di un programma di grande richiamo, ha sfiorato il tutto esaurito al Palazzo Mauro De André. Quasi superfluo dire che sul podio stava Iván Fischer, fondatore e direttore musicale dell’orchestra: stanno insieme dal 1983 e la loro è una delle storie musicali di maggior successo di questi decenni. Anche questa volta l’orchestra ha confermato il virtuosismo dei singoli e la compattezza dell’insieme, la sua delicatezza e la sua potenza e soprattutto la straordinaria intesa col suo direttore e con le sue interpretazione personali ed interessanti, allo stesso tempo lucidamente analitiche ed emotivamente coinvolgenti.  

Si iniziava con la Sinfonia n. 3  di Brahms, le cui imponenti, drammatiche, fatali battute iniziali sono state ammorbidite da Fischer con un tempo piuttosto tranquillo (più un Allegro moderato  che l’Allegro con brio  indicato da Brahms: già altre volte si è notato come il direttore ungherese adotti tempi molto dilatati in funzione di una lettura analitica ed attentissima ai particolari) e con un suono chiaro e nitido (anche un po’ secco: forse i musicisti erano ancora ‘freddi’ oppure dovevano abituarsi all’acustica di questo palazzo dello sport), tanto che risultava attutito il contrasto tra il possente primo tema e il delicato e cullante secondo tema. Quella di Fischer era una strategia ben calcolata, in linea col precetto dello stile classico, secondo cui il climax drammatico va raggiunto sviluppando gradualmente le premesse iniziali. In effetti nel corso del movimento il discorso diveniva progressivamente più vibrante e teso e il primo tema avanzava inesorabilmente con ondate sempre più travolgenti, placandosi solo nelle ultime battute.

Un altro mondo si apriva col successivo Andante, quando l’orchestra raggiungeva una trasparenza cameristica, nonostante l’organico nutritissimo. Nel terzo movimento Fischer catturava come pochi altri (adottando anche qui un tempo decisamente più lento di quanto sembrerebbe indicare il Poco allegretto  di Brahms) il tono romanticamente nostalgico e meditativo di una delle più affascinanti invenzioni melodiche di Brahms. A proposito del quarto movimento si può ripetere quasi alla lettera quanto detto del primo, con la differenza che questa volta la drammaticità tesa e aspra del primo tema non s’imponeva mai incontrastata, perché continuamente riaffioravano gli altri due temi distesi e cantabili, fino all’inaspettata conclusione pacificata e sommessa.

Si passava poi alle preziosità timbriche offerte a getto continuo dal direttore e dall’orchestra in Sheherazade  di Rimskij-Korsakov. A intuire quel che ci aspettava sono bastate le prime battute, quando in pochi secondi si succedevano lo scuro e minaccioso unisono degli ottoni, i fatati accordi degli strumentini e il primo splendido solo del violino. E si è andati avanti così per quaranta minuti letteralmente magici, passando da possenti ‘tutti’ orchestrali a raffinati ‘solo’, tra colori ora delicati e preziosi, ora accesi e sgargianti. Non sarà facile ascoltare un’esecuzione di tale livello di questa pagina celebre, che il pubblico ha applaudito con entusiasmo. Fischer ha esaudito le richieste di bis dirigendo Blue tango  di Leroy Anderson e la Danza ungherese n. 6  di Brahms.

 

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