Iphigénie en Tauride a tinte forti all'Opéra-Comique
Nuova produzione firmata Wajdi Mouawad e diretta da Louis Langrée
05 novembre 2025 • 4 minuti di lettura
Opéra Comique di Parigi
Iphigénie en Tauride
02/11/2025 - 12/11/2025Per la parte musicale, l’Opéra-Comique è andata sul sicuro affidando l’opera di Gluck al suo direttore Louis Langrée, per lo meno per le prime recite, poi la bacchetta passerà al giovane Théotime Langlois de Swarte. La regia del nuovo spettacolo, affidata al libanese Wajdi Mouawad, era invece attesa più libera ed innovativa. Infine, invece, si è avuto un discutibile allestimento a tinte forti monocorde e un’esecuzione musicale più fresca e moderna, che esprime il dramma con potenza, tragicità ma anche gioiosità e grazia, con in fossa i giovani de Le Consort, ensemble nato nel 2015 a Parigi che suonano strumenti d'epoca. Langrée, recentemente rinnovato direttore dell’Opéra-Comique sino al 2029, conosce bene Iphigénie en Tauride di Gluck per averla già diretta quattro volte e stavolta sembra essersi concesso qualche libertà interpretativa in più con i suoi giovani ed entusiasti musicisti, sperimentando dinamiche più contrastate, abbandonandosi ad accenti sia più tragici che languidi, con i forte marcati e qualche vigorosa accelerazione, come nella tempesta iniziale e nell’espressione della furia vendicativa. Insomma, la novità vitale e contagiosa si è potuta apprezzare arrivare sopratutto dalla fossa. Dall’altra parte, sul palco, c’è una messa in scena fredda, malgrado il tanto sangue sparso, visivamente molto curata e ragionata nei dettagli, omogenea dall’inizio alla fine, assai cupa, anche un po’ horror con Iphigénie che gira minacciosa per il palcoscenico con un coltellaccio da cucina. Una messa in scena esteticamente elegante quanto impegnata a creare legami con l’oggi. Innanzitutto c’è un lungo prologo, scritto dal regista stesso, che costringe a leggere su un testo scorrevole una sintesi dell’antefatto, quindi di quanto accaduto ad Aulide, che si svolge in un museo d’oggi in mani russe dove arrivano due greci a chiedere la restituzione delle statuette trafugate. Un espediente per collegare l’antica vicenda greca all’odierna occupazione russa della Crimea, la Tauride, con un quadro sul mito di Ifigenia dipinto da un soldato e circondato da sacche di sangue dei compagni caduti. Richiamo all’attualità che tornerà infine per chiudere l’opera, con coerenza dal punto di vista registico. La scenografia è poi incentrata su un grande rettangolo nero riflettente, una sorta di altare in verticale dove all’inizio si compie, con ripetizione ossessiva, il sacrificio umano dello straniero che penetra il territorio degli Sciti. Il nero e il rosso sono i colori predominanti, anche nelle vesti velate d’ispirazione mediorientale delle sacerdotesse, ma con una dea Diana dorata che appare quasi di metallo, meccanica, coerentemente con il suo intervento ex machina salvatore. C’è anche una lunga scena di nudo, quella di Oreste, che non fa certo da sola modernità e libertà, anche Iphigénie ad un certo punto inizia a liberarsi dei vestiti ma resta in sottana.
Non regge inoltre proprio il contrasto tra la potenza drammatica del soprano franco-algerino Tamara Bounazou nel ruolo della protagonista Iphigénie, che dopo qualche forzatura iniziale entra in pieno, con fluidità, nel personaggio, e la voce molto più piccola anche se espressiva del baritono americano Theo Hoffman che interpreta il fratello Oreste, assai poco eroe ma che riesce comunque a trasmettere il suo strazio interiore per avere ucciso la madre Clitemnestra. Le altre voci maschili sono invece potenti e più adeguate ai ruoli. Il vero eroe sembra l’amico Pylade interpretato dal tenore francese Philippe Talbot, voce piena, morbida e dolce, dall’interpretazione intensa e toccante che fa amare l’amicizia sincera che anima il suo personaggio. Lodevole anche il basso-baritono Jean-Fernand Setti come il crudele Toante, re della Tauride, grande di statura e dalla voce possente come necessario. Buona la prova anche del giovane mezzosoprano Léontine Maridat-Zimmer, che da vita a Diana, e degli altri interpreti minori. Il ruolo importante che in quest’opera ha il coro è poi affidato a Les Éléments, coro da camera creato nel 1997 à Toulouse, che si fa sentire abbastanza compatto e d’effetto, ma non sembra altrettanto a suo agio nei movimenti che il regista vuole ben coreografati, coordinati, per tutti i presenti in scena. Si tratta di una coproduzione con l’Opéra du Capitole –Toulouse Métropole, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg e costruzione delle scene è affidata a La Colline, il teatro diretto dallo stesso Wajdi Mouawado. Una tale lettura teatrale, superficialmente curata a tinte forti, è sembrata comunque avere a fine spettacolo parecchi estimatori e gli applausi non sono mancati anche per il regista.