Il “vivace” avvio del Festival Verdi 2022

Esiti interessanti ma anche contrastanti per i primi appuntamenti della XXII edizione della manifestazione di Parma

Simon Boccanegra (foto Roberto Ricci)
"Simon Boccanegra" (foto Roberto Ricci)
Recensione
classica
Parma, Fidenza – Teatro Regio, Teatro Magnani
Festival Verdi 2022
22 Settembre 2022 - 16 Ottobre 2022

Concentrando le “prime” nei primi giorni di avvio del cartellone 2022, il Festival Verdi di Parma da un lato ha ritrovato una formula consolidata – e forzatamente sospesa nel periodo pandemico – e, dall’altro, ha offerto una sorta di tour de force di appuntamenti, tra nuovi allestimenti e riprese, dal segno anche molto differente e, se vogliamo, vivacemente contrastante e contrastato.

La forza del destino (foto Roberto Ricci)
"La forza del destino" (foto Roberto Ricci)

L’inaugurazione del festival, avvenuta giovedì 22 settembre, è stata affidata a La forza del destino, opera proposta nella versione di Milano del 1869 nell’edizione critica a cura di Philip Gossett e William Holmes per il nuovo allestimento di Yannis Kokkos con la direzione di Roberto Abbado, direttore musicale dello stesso Festival Verdi. Accolto da contestazioni piovute dal loggione, in sintesi, per aver scelto di inaugurare questa XXII edizione con orchestra e coro del Teatro Comunale di Bologna (protesta peraltro ampiamente annunciata e che, alla fine, si è rivelata blanda e francamente pleonastica visto che la direzione generale del teatro è in scadenza e il nuovo sindaco da poco eletto è già impegnato a rassicurare le compagini artistiche locali) lo stesso Abbado è stato uno dei protagonisti più convincenti di questo spettacolo. Capace di tratteggiare il percorso musicale attraverso un passo espressivo segnato da un’equilibrata e compatta coerenza, la lettura del direttore milanese ha saputo evidenziare i chiaroscuri di una partitura dall’ampio arco strutturale – specchio dell’articolata vicenda narrata dal libretto di Francesco Maria Piave – assecondato dalle compagini bolognesi la cui reattività è parsa peraltro di tanto in tanto un poco opaca.

La forza del destino (foto Roberto Ricci)
"La forza del destino" (foto Roberto Ricci)

Sul palco la lettura registica nel complesso ordinaria di Kokkos – che firma anche scene e costumi – ha risolto la narrazione attraverso movimenti poco più che funzionali sia per i singoli personaggi sia per le masse corali – nonostante il contributo della drammaturgia di Anne Blancard – disegnando l’azione dei diversi quadri su scene articolate ma uniformi, per lo più contraddistinte da fondali obliqui dal carattere stilizzato, quasi a evocare un’atmosfera da cartoon dal sapore noir (luci di Giuseppe Di Iorio, coreografie di Marta Bevilacqua, video di Sergio Metalli). Tra le voci Liudmyla Monastyrska ha restituito una Leonora solida ma un poco discontinua, Gregory Kunde ha incarnato un Don Alvaro decisamente autorevole e forse solo vagamente distaccato dal punto di vista espressivo, mentre Amartuvshin Enkhbat ha regalato un Don Carlo dalla bella pasta vocale e dall’efficace lettura interpretativa. Tra gli altri ricordiamo l’adeguato Padre guardiano di Marko Mimica, l’efficace Fra’ Melitone di Roberto de Candia e la bella prova di Annalisa Stroppa nei panni di una Preziosilla nel complesso vocalmente convincente e brillante dal punto di vista interpretativo, nonostante il carattere ordinario impresso al personaggio dall’impostazione registica. Alla fine il pubblico ha salutato con generoso calore tutti gli artisti – con una mezza ovazione per Kunde e un bel successo personale per Monastyrska, Enkhbat e Stroppa – e ancora qualche sparuto dissenso dal loggione nei confronti del direttore, dissolto peraltro tra gli applausi del resto del pubblico.

Messa da Requiem (foto Roberto Ricci)
"Messa da Requiem" (foto Roberto Ricci)

Il secondo appuntamento, venerdì 23, è stato quello con Messa da Requiem, pagina proposta quest’anno con la direzione di Michele Mariotti nell’edizione critica a cura di David Rosen. Alla guida di una Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai timbricamente solida e dinamicamente reattiva e del Coro del Teatro Regio di Parma ben preparato da Martino Faggiani, Mariotti ha saputo restituire un lettura felicemente personale di questo monumento verdiano, scegliendo agogiche a tratti originali e lavorando sotto le pieghe dei tracciati melodici più scoperti riuscendo a regalare momenti di sorprendente epifania espressiva. Così sia le pagine più esposte, quali il celeberrimo Dies irae – con il suo incipit perentorio e le sferzate timbrico melodiche giustamente intense ma mai eccessive – o quel palpito di morbida preghiera rappresentato dal Lacrymosa – qui offerto con una delicatezza mai retorica – sia momenti come l’Offertorio – con il bel dialogo melodico quasi teatrale tra i solisti – o come il Sanctus – cesellato con cifra cristallina e attraversato da pregnanti balugini dal profumo barocco – hanno trovato una linea efficacemente coerente nel passo dettato dal direttore. Passo seguito con compatto impegno anche dal quartetto di solisti che comprendeva il segno emotivo del soprano Marina Rebeka, protagonista di un bel doppio debutto – nella Messa da Requiem e per la prima volta al Teatro Regio di Parma – l’espressiva solidità del mezzosoprano Varduhi Abrahamyan – anche lei per la prima volta al Regio parmigiano – la generosità interpretativa del tenore Stefan Pop e la misurata eleganza timbrica del basso Riccardo Zanellato. Bello e meritato il successo che ha salutato alla fine tutti gli artisti impegnati.

Il trovatore (foto Roberto Ricci)
"Il trovatore" (foto Roberto Ricci)

La terza tappa del percorso tracciato dal cartellone 2022 del Festival Verdi è stata rappresentata dalla ripresa, proposta sabato 24 settembre, de Il trovatore nell’allestimento ideato da Elisabetta Courir per il Festival Verdi 2016 ed ora portato in scena al Teatro Girolamo Magnani di Fidenza, palcoscenico dove il festival torna dopo anni ad allestire un’opera, con la direzione di Sebastiano Rolli nell’adattamento della partitura per piccola orchestra di Enrico Minaglia condotto sull’edizione critica a cura di David Lawton. La messa in scena della Courir, anche se adattata allo spazio più raccolto rappresentato dal palcoscenico del teatro fidentino, ha confermato l’impressione che avevamo annotato alla sua prima proposta di sei anni fa, con la sua cifra scura e plumbea, che intride un’atmosfera che in questa occasione è parsa se possibile più sciatta e drammaturgicamente inerme, complice la scenografia articolata in povere scalinate lignee e poco più, oltre ai movimenti scenici che ribadiscono la loro natura alquanto didascalica e ridondante (scene di Marco Rossi, costumi di Marta Del Fabbro, luci di Gianni Pollini, coreografie di Michele Merola).

Il trovatore (foto Roberto Ricci)
"Il trovatore" (foto Roberto Ricci)

Fiacca anche la declinazione del versante musicale, con Sebastiano Rolli intento a staccare tempi riflessivi e inesorabili e a tenere assieme da un lato i ranghi ridotti di un’orchestra Filarmonica Toscanini dal rendimento alquanto discontinuo, e dall’altro un palcoscenico abitato – forse complice il teatro relativamente piccolo – da voci dalla resa a tratti oltremodo stentorea quali quelle di una non più che solida Anna Pirozzi nei panni di Leonora (chiamata a sostituire l’indisposta Silvia Dalla Benetta), del Manrico vocalmente presente ma discontinuo di Angelo Villari, dell’adeguato ma interpretativamente un poco acerbo Conte di Luna di Simon Mechlinski, della corretta ma tratti forzata Azucena di Enkelejda Shkoza (anch'essa chiamata a sostituire l’indisposta Rossana Rinaldi). Il resto del cast vocale comprendeva Alessandro Della Morte (Ferrando), Davide Tuscano (Ruiz - Un messo), Ilaria Alida Quilico (Ines), Chuanqi Xu (Un vecchio zingaro). A giudicare dagli applausi, il pubblico ha sostanzialmente apprezzato.

Simon Boccanegra (foto Roberto Ricci)
"Simon Boccanegra" (foto Roberto Ricci)

Ultima e forse più vivace proposta è stata quella di domenica 25 quando sul palcoscenico del Teatro Regio è andato in scena Simon Boccanegra nel nuovo allestimento di Valentina Carrasco con Riccardo Frizza che ha diretto la prima versione di Venezia del 1857 – senza quindi la scena del Consiglio e l’episodio della maledizione di Paolo, tra le principali aggiunte di Arrigo Boito nella revisione del 1881 – in un’edizione che per la prima volta integra i documenti autografi conservati a Sant’Agata divenuti disponibili agli studiosi solo recentemente.

In questa occasione il contrasto si è rivelato duplice: da un lato il fecondo confronto tra una lettura musicale basata sul carattere filologico di una partitura che Frizza ha restituito con efficace intelligenza e l’interpretazione registica dal segno forte e decontestualizzante proposta dalla regista originaria di Buenos Aires; dall’altro lo scontro tra una messa in scena sicuramente provocatoria ma nel complesso efficace e le insofferenze di un pubblico che non vuole – o non può, o non ha i mezzi per – accettare che il teatro (anche quello musicale, anche l’opera) possa essere a volte luogo di denuncia, rottura, dissacrazione o, appunto, provocazione.

E la voglia di provocare la Carrasco pare averla proprio messa in pratica in questa lettura registica che poggiava peraltro sulle solide basi di movimenti scenici sempre funzionali al canto e al quadro drammaturgico in atto, il tutto tratteggiato da un gusto per il gesto simbolico, per quanto sempre misurato, capace di sottolineare una frase melodica, un accento espressivo – un “affetto” si potrebbe dire forzando un poco la storia del teatro d’opera – proprio del personaggio protagonista in quel momento sul palcoscenico. Un carattere riverberato anche nei movimenti del coro, personaggio collettivo che agiva sul palcoscenico con una presenza sempre funzionale e coerente con l’azione. A contribuire all’efficacia del contesto i caratteri ora vivacemente e simbolicamente essenziali ora incombenti delle scene di Martina Segna, completati dai costumi di Mauro Tinti e dalle luci di Ludovico Gobbi.

Simon Boccanegra (foto Roberto Ricci)
"Simon Boccanegra" (foto Roberto Ricci)

Su questa base, la scelta di portare la vicenda in una macelleria industriale con tanto di quarti di bue (o di maiale, visto che siamo nella patria del prosciutto di Parma) penzolanti in bella vista ad apertura del secondo atto – quadro completato dalla fugace apparizione di un cadavere umano disteso su un tavolo e coperto di sangue – non è piaciuta a parte del pubblico – e non solo al “solito” loggione – che ha contestato la regia con frasi del tipo «Verdi non era un macellaio…» e diverse bordate di “buuu” all’indirizzo della stessa regista a fine serata. Al di là delle sensibilità personali, in diversi paesi del mondo osserviamo manifestazioni di un potere tracotante, incarnazione di abusi personalistici e derive autocratiche, sovente degeneranti in interventi – appunto – da “macelleria sociale”, quindi perché non rappresentarle? Certo, quando a un certo punto i quarti di bue appesi si moltiplicano, divenendo una fitta selva attraverso la quale si destreggiano e fanno capolino i personaggi, forse il messaggio diviene inutilmente ridondante. Oppure, quando in un finale dai palesi riferimenti cinematografici, la gestualità che accompagna la dipartita di Simone Boccanegra si mostra stucchevolmente affettata, avremmo preferito una soluzione più composta.

Simon Boccanegra (foto Roberto Ricci)
"Simon Boccanegra" (foto Roberto Ricci)

Resta, in ogni caso, la cifra di una lettura teatrale interessante, efficace e tutt’altro che scontata, avvalorata da un versante musicale, come già accennato, decisamente ben riuscito, con l’efficace e serrata direzione di Riccardo Frizza alla guida delle felicemente reattive compagini rappresentate dalla Filarmonica Arturo Toscanini e dal Coro del Teatro Regio di Parma preparato da Martino Faggiani. Sul piano vocale bella la prova di Vladimir Stoyanov nel ruolo del titolo e, soprattutto, di Roberta Mantegna, protagonista di un debutto nel ruolo di Maria/Amelia decisamente convincente. Riccardo Zanellato si conferma solido e ispirato dei panni di Jacopo Fiesco, particolarmente efficace si rivela Piero Pretti al debutto nel ruolo di Gabriele Adorno mentre tra gli altri citiamo Devid Cecconi (Paolo Albiani), Adriano Gramigni (Pietro) e Chiara Guerra (Un’ancella di Amelia).

Alla fine confermati i dissensi alla regia, mentre convinti e meritati applausi sono stati rivolti a tutti gli artisti impegnati e, in modo particolare, a Stoyanov, Mantegna e Zanellato.

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