Il successo di MaerzMusik
Le ultime due giornate del festival di Berlino
Il contesto di quest’esecuzione va però oltre quello che vi è stato proposto nel corso dell’ultima giornata del festival; che si è avviata, peraltro, con un’altra iniziativa, dedicata presso l’Akademie der Künste, ai 10 anni del bravissimo Sonar Quartett e alla ‘utopia’ della formazione quartettistica, produttiva negli ultimi decenni (e ancora oggi) di opere diversissime, dal ripensamento - del suono nel gesto - in Gran Torso di Lachenmann, all’estensione – fino alla frattura – del tessuto dialogico, nell’8. Streichquartett di Rihm, e alla mimesi dei più vari procedimenti organizzativi (la simulazione di un collage elettroacustico di campioni ‘storici’, il montaggio di riformulazioni di suoni del mondo animale) in brani di Giesen e Poppe. Lasciato a metà per forza di cose questo concerto, si è corsi a metà pomeriggio del sabato verso il Kraftwerk (un grande spazio dismesso, contenitore di svariate proposte artistiche) dove iniziava ad accadere ‘The Long Now’: 30 ore consecutive (anzi 29, calcolando l’ora legale) di installazioni ed azioni, aperte quest’ultime da una realizzazione live della seminagione ‘ambient’ a metà anni Settanta (Fripp & Eno), a mo’ di dichiarazione di programma orientata verso il punto estremo in cui l’elettronica ‘altra’ non era ancora distinguibile, per paradigmi estetici e sperimentali, da quella ufficiale-accademica, con il sottotesto – forse – che in effetti le due ‘elettroniche’ distinguibili non lo siano più, o non lo siano mai veramente state… Tra le installazioni, si segnala l’unica presenza italiana del festival, quella del Museolaboratorio di Città Sant’Angelo, che ha prestato le interessanti video-opere della coppia Basinski-Elaine, mediometraggi fatti di immagini-suoni rubati con dissimulata cura ed esiti ipnotici alla realtà. Per tutte le ultime 24 ore (purtroppo, il volo di ritorno assai mattutino ci ha impedito di seguire oltre metà nottata) moltissimi fruitori di questa cornice d’esperienza si sono sistemati, su letti da campo forniti dall’organizzazione o in propri sacchi a pelo, all’ultimo piano dello stabile, scivolando dentro e uscendo dal dormiveglia anche a seconda dei decibel dei concerti di turno. Chi vuole, naturalmente, può muoversi nello spazio, rifugiarsi ad altri livelli del capannone (dove si può mangiare e bere), o uscire e rientrare a piacimento. La performance di Graindelavoix, iniziata ben oltre la mezzanotte e pregiudicata dall’avvio della serata in un’attigua discoteca, è bastata per apprezzare come il lavoro interpretativo del gruppo sulla polifonia del ‘500 sia diverso da quello ascoltato su altro repertorio giorni prima.
Un paio di considerazioni conclusive: il festival propone, con intelligenza, sforzo e coerenza alla situazione artistica recente (e specificatamente berlinese), un’idea allargata di creatività artistica, oltre che di esperienza (dello spazio, del tempo, della socialità dell’evento). Ma il pubblico segue solo in minima parte il percorso in tutta la raggiera proposta: i presenti ai concerti sono parsi – perlopiù – di volta in volta differenti, motivati a una ‘visita’ anche per ragioni di curiosità verso il contiguo, ma comunque operatori di scelte selettive nell’affollato cartellone. Inoltre, la selezione è scattata, sensibilmente (abbandoni a concerto in corso), all’interno di giornate molto lunghe e articolate: è fenomeno naturale, e in qualche modo atteso dagli stessi organizzatori, che non evitano palinsesti giornalieri di 12 ore (comprendendo le conversazioni). Non l’unitaria e globalizzante assenza di confini, insomma, emerge dal festival, ma la possibilità – locale, ristretta – di sconfinamento episodico; Zeitfragen sembra quindi ancora declinato al plurale: si tratta di ‘domande sul tempo’, ciascuna determinata, più che di un domandarsi organico e comprensivo… ma non è certo un difetto di questo vivacissimo festival!
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