Il rock a bassa pressione dei Low

Ai Docks di Losanna i Low "umanizzano" il recente album Hey What

Low © Thomas Ebert
Low © Thomas Ebert
Recensione
pop
Losanna, Docks
Low
13 Maggio 2022

Un concerto dei Low non si porta dietro l’aria festaiola e sbracata che di solito ammanta le riunioni del popolo rock. Ai loro spettacoli non si suda né si balla, al massimo le teste del pubblico ondeggiano con effetto simile alle spighe del grano in balia di una brezza leggera. A ingenerare un poco di timore nei presenti d’altra parte ha contribuito la mezz'oretta introduttiva elargita dai Divide And Dissolve. È un duo, con domicilio in Australia, formato dalla chitarrista e sassofonista di origini cherokee Takiaya Reed e da Sylvie Nehill (batteria), uso a riversare doom/drone metal a volumi impossibili sulla platea (e non sono pochi, saggiamente, a infilarsi i tappi nelle orecchie).

Le ragazze intendono abbattere la supremazia bianca e lottano affinché la terra sia restituita ai nativi, a occhio e croce un compito impegnativo, ed è quindi comprensibile facciano urlare strumenti e amplificatori.

– Leggi anche: Low, un capolavoro tira l'altro

Nonostante il cambio palco porti via venti minuti buoni, la sensazione è di avere ancora tutto che vibra intorno e dentro quando si abbassano le luci e i Low partono con i rumoristi riff stop-and-go di “White Horses”. Per tutta la serata saranno poco più di ombre cinesi che si stagliano sulle immagini al galoppo proiettate alle loro spalle. Una scelta scenografica utile a mantenere alta la tensione, il sentimento di qualcosa che sta per accadere. Così il set prosegue solido e concentrato, srotolando “I Can Wait”, “All Night”, “Disappearing” e “Hey” proposti nelle stessa identica sequenza con cui sono ordinati nella scaletta del lodato Hey What, apparso nel settembre 2021. 

L’impressione da subito è che Alan Sparhawk e Mimi Parker, coppia mormone ormai tra le più celebri al mondo, abbiano deciso di regalare dal vivo una versione meno radicale e “disturbante” del loro ultimo disco. Forse semplicemente si sono resi conto che sulla scena la pedissequa riproduzione delle sperimentazioni da laboratorio contenute nell’opera rischiavano di farli apparire troppo artificiali. Si spiega così anche l’inclusione per il tour della bassista Liz Draper, una scelta che contribuisce ad ammorbidire in modo ulteriore il quadro d’insieme, benché i suoni rimangano allungati e allargati, in preda e distorsioni e singulti.

D’altro canto occorre notare che tale raggiunto bilanciamento tra agri suoni di ricerca ed esigenze comunicative si mantiene anche in seguito. Passato lo spunto pop della melodica hit “Days Like These”, vengono infatti riportati in vita brani più stagionati – strano però, che dall’album gemello Double Negative (2018) sia stato estratto soltanto “Disarray” –, come "Congregation", "No Comprende" e "Sunflower", dedicata genericamente a chi è stato vittima di guerre.

È indubbio: dal vivo i Low sanno colpire l’uditorio, chi ascolta finisce nel vortice, conquistato in particolare dall’intrecciarsi evocativo delle voci, da sempre specialità della casa. A supporto, il trio punta sull’andamento misurato, a tratti ossessivo, delle parti strumentali, configurate da movenze allusive e ipnotiche. I Low non scelgono di colpire l’orecchio in modo diretto, semmai lo distraggono, prima, e poi lo accerchiano. La loro proposta rimane in fin dei conti lineare, intelligibile, elementare; a volte viene da pensare che quasi tutti potremmo far domanda per suonare la batteria o il basso con loro.

Eppure questa apparente semplicità funziona a meraviglia e le quasi due ore del live, compresi un paio di bis (“Two-Step” e “Canada”), scorrono in fretta, anche troppo.

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