Il ritorno del Cinq-Mars di Gounod

L’Opera di Lipsia riporta in scena l’opera Cinq-Mars (Der Rebell des Königs) di Charles Gounod, dopo un oblio secolare 

Cinq-Mars (Der Rebell des Königs)
Foto di Tom Schulze
Recensione
classica
Oper Leipzig
Cinq-Mars (Der Rebell des Königs)
20 Giugno 2018

Strano personaggio quell’Enrico Coiffier de Ruzé, marchese di Cinq-Mars: giovanissimo protegé di Richelieu per via di un’antica e solidissima amicizia col padre, e in seguito, per intercessione dello stesso potentissimo cardinale, favorito favoritissimo di re Luigi XIII, che gli conferì onori e incarichi per via probabilmente di un’attrazione che andava al di là dei meriti dell’ambizioso giovanotto.

Ma il Cinq-Mars non era personaggio da accontentarsi di medaglie o titoli onorifici. Mise gli occhi su Maria Gonzaga deciso a impalmarla per entrare nel domino dei potenti veri. Soprattutto osò l’inosabile provando a rovesciare Richelieu per prenderne il posto in combutta con l’amico François-Auguste de Thou. Le cose andarono male ed entrambi ci rimisero la testa per ordine del re amico all’alba del 12 aprile 1642 a Lione, quando Cinq-Mars aveva solo 22 anni. 

Lasciati i moschettieri alla fantasia di Dumas e la cortigiana Marion Delorme alla turgida penna di Hugo, anche Gounod non resistette all’irresistibile fascino delle storie di corte di Luigi XIII detto il Giusto e del suo scaltro primo ministro, scegliendo proprio il “non eroe” Cinq-Mars per un polpettone storico in equilibrio piuttosto precario fra dramma lirico, più vicino alle sue corde, e la magniloquenza da grand opéra. La sirena dell’impresario Leon Carvalho, nel frattempo passato all’Opéra Comique, torna a cantare a vent’anni dal successone del Faust e Gounod cede all’irresistibile richiamo. Gli forniscono i versi Paul Poirson e Louis Gallet ispirandosi al romanzone di Alfred de Vigny, su cui decenni prima aveva posato gli occhi (ma solo quelli) pure Meyerbeer, ma l’opera alla prima del 1877 non scatena entusiasmi pur vantando una sessantina di recite a Parigi e quindi una certa fama in patria e all’estero (alla Scala ci arrivò solo un anno dopo). Dopo un oblio secolare, si è tornato a parlare di questo Cinq-Mars grazie a una bella edizione in CD promossa, in vista del bicentenario gounodiano, dal Palazzetto Bru-Zane, che ha anche curato il recupero della partitura, e alla sollecita quanto insolita proposta all’Oper Leipzig, che si è incaricata del recupero scenico già alla fine della scorsa stagione e ripresa nell’anno gounodiano per sole quattro recite. 

 

Con la registrazione, la produzione di Lipsia condivide il protagonista Matthias Vidal, che sulla scena convince forse meno che nella prova discografica e riesce a trovare slancio lirico solo nella cavatina “O chère et vivante images” del quarto atto. Al suo fianco il de Thou, che richiama molto da vicino il Posa verdiano, è Jonathan Michie, baritono di buone qualità, e la pallida Marie de Gonzague del soprano Charlotte Despaux, esile nel canto come nella presenza scenica (il suo “Nuit resplendissante” del primo atto passa quasi inosservato). Ai due ruoli di Marion Delorme e Ninon de L'Enclos, le due divagazioni ai giochi del potere della trama, Danae Kontora e Sandra Maxheimer sanno conferire la giusta leggerezza, mentre per Père Joseph, la voce di Richelieu (che non parla), Mark Schnaible è un basso di sinistra gravità.

Funzionale il resto della lunga locandina. Dalla buca, si sente tutta la qualità musicale della gloriosa Gewandhaus Orchester, specie quando si prende la scena nel lungo ballo del secondo atto. Piacerebbe che il direttore David Reiland avesse più slancio magari nelle pagine più liriche e giocasse di più sui contrasti anziché accontentarsi di una rassicurante routine che non rende del tutto giustizia a una partitura che, pur fra molte convenzioni di genere, riserva comunque qualche bel momento. 

Cinq-Mars (Der Rebell des Königs)
Foto di Tom Schulze

Un’intenzione marcatamente restaurativa ispira la messa in scena guidata senza troppi guizzi del regista Anthony Pilavachi, che guarda senza reticenze a modelli ottocenteschi, compresa una certa approssimazione nell’azione scenica. Anche le scene di Markus Meyer, fatte per lo più di fondali dipinti inquadrati in una cornice pure dipinta che inquadra il boccascena, sono ispirate allo stesso gusto archeoteatrale e fastosamente (con misura) pittorico così come i costumi dello stesso Meyer. Stesso discorso vale anche per le coreografie classiche di Julia Grunwald per il grande ballo chez Madame Delorme del secondo atto, che vede impegnati i bravi ballerini del Leipziger Ballett.

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