Il pop contemporaneo

Il ritorno in Italia dei Sigur Rós

Recensione
pop
Assago
19 Febbraio 2013
Luogo comune vuole che una band proveniente dalla nordica Islanda non possa che proporre musica fredda. A maggior ragione nel caso dei Sigur Rós, da Reykjavík, che cantano per lo più in “vonlenska”, lingua artificiale da loro inventata e dunque, per definizione, incomprensibile a chiunque. Ma di luogo comune, appunto, si tratta. Perché, nonostante il fatto che Jónsi e compagni sembrino mettercela tutta per apparire freddi e distaccati all’ennesima potenza, presentandosi al pubblico di Milano nascosti da un velo semiopaco ad avvolgere il palco nella sua interezza (e rinunciando dunque al rapporto visivo diretto tra audience e artista che tanto ha contribuito alla mitologia del rock), il concerto di Assago del gruppo - di ritorno in Italia dopo un passaggio estivo - è stato quanto di più suggestivo ed emozionante ci si possa aspettare oggi da un gruppo pop contemporaneo – dove pop, va da sé, è da intendersi in senso lato (tecnicamente i Sigur Rós suonano post-rock) e contemporaneo, invece, nella sua accezione più letterale. Esaltati da meravigliose scenografie e stupefacenti giochi di ombre e luci, che continuano anche dopo la caduta del velo verso metà concerto, i brani della band hanno incantato il non straripante pubblico per due intensissime ore senza, quasi, soluzione di continuità, come un’unica lunga suite ora onirica e psichedelica, ora inquietante, ora selvaggiamente rumorista. A dominare e rendere speciale con il suo inconfondibile falsetto ogni nota, ogni sfumatura, ogni suggestione, lui, Jónsi, la voce più bella del rock da Jeff Buckley a questa parte. Un trionfo che nemmeno un pubblico eccessivamente entusiasta – si perdoni l’eufemismo – è riuscito a scalfire.

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