Il Naso alla Monnaie
Ottima la direzione del maestro Gergely Madaras, poco convincente la messa in scena di Alex Ollé
La Monnaie chiude la stagione con l’allestimento de Il Naso di Šostakovič coprodotto con il The Royal Danish Theatre di Copenhagen dove già il lavoro è andato in scena l’anno scorso in lingua danese.
La Monnaie l’ha proposto invece nella versione originale russa e a dirigere lo straordinario lavoro giovanile di Šostakovič, scritto quando il compositore aveva soltanto ventidue anni, ha chiamato il direttore ungherese, Gergely Madaras, che di anni ne ha pure solo trentotto e che ha fatto davvero un ottimo lavoro.Madaras, che dal 2019 è direttore musicale dell’Orchestre Philharmonique Royal de Liège, ha regalato un’esecuzione chiarissima in tutti i suoi dettagli, straordinariamente coesa nella sua complessità, fatta di una affascinante mescolanza di stili, tra tonalità e atonalità, forti dissonanze, canto lirico e motivi popolari slavi.
Non si può dire invece lo stesso per la regia di Alex Ollé, uno dei fondatori de La Fura Dels Baus, in cui la ricchezza degli spunti visivi genera sgradevole confusione, soprattutto nelle scene corali dove ogni artista è un personaggio, troppo ricchi di dettagli e movimenti distraenti dalla musica, pure dal sapore un po’ vecchio, di contestazione anni ‘70, con cartelli in cartone e le solite scritte. Ma il costumista Lluc Castells ha dichiarato invece che si è ispirato alla realtà contemporanea di quelli che girano con tutti i loro averi dentro grossi sacchi per la spesa o in carrelli rubati ai supermercatI.
Le buone idee non mancano, a cominciare da alcune delle scene di Alfons Flores, come il suggestivo reticolo che, anche grazie alle efficaci luci di Urs Schönebaum, è selva verdeggiante, in cui in modo opportunamente surreale si intravede prima la poltrona del barbiere e poi il letto in cui si sveglia il protagonista senza più il naso. E poi il groviglio diventa anche, con efficacia, una sorta di giungla urbana con luci che ricordano innumerevoli piccole finestre.
Per quanto riguarda i cantanti, il maestro Madaras dirige prestando pure loro molta attenzione, ma il risultato vocale complessivo è stato meno buono di quello assolutamente da plauso dell’Orchestra della Monnaie. I cantanti sono tutti bravi da un punto di vista attoriale, ma vocalmente il risultato è disomogeneo, alcuni a tratti non si sentono bene (e il problema non è l’orchestra, che non è mai troppo forte, malgrado il ruolo importante delle percussioni), altri sembrano gridare le note più alte invece che cantarle, in particolare assai sgradevole da questo punto di vista la moglie del barbiere. E’ vero che la partitura prevede anche delle grida, cosi come altri suoni naturali, ma qui si abusa.
Come si sa, opera vocalmente con acrobazie e con tanti ruoli, più di ottanta, la confusione e il rendimento altalenante in scena derivano anche dal fatto che la maggior parte dei cantanti interpreta differenti parti. Per i ruoli minori la Monnaie ha valorizzato le risorse interne, ossia alcuni dei migliori elementi del coro ben preparato da Jori Klomp. Gli unici due cantanti con un solo personaggio sono il baritono Scott Hendricks che è il protagonista, il funzionario conformista Kovalyov, e il tenore Nicky Spence, che è invece il naso di Kovalyov che vuole viversi la sua vita indipendente. Si fa notare pure il tenore Anton Rositskiy che tra i suoi cinque ruoli ha quello di Ivan, il cameriere di Kovalyov, presentato come un servo incatenato al letto del padrone con un collare da cane.
La vicenda già come scritta da Gogol è grottesca e surreale, ma mai volgare, invece il regista ed il costumista hanno voluto calcare la mano nelle caricature provocatorie, presentando in mutande anche i poliziotti e giocando con i parallelismi tra il naso ed il sesso maschile.
Un allestimento visivamente in netto contrasto con la lettura invece cristallina del maestro Madaras che ha saputo tenere testa alla ricchezza di influenze, della tradizione e dell’avanguardia di allora da Stravinsky a Berg, rielaborate nella scrittura del giovane Šostakovič con grande ironia, eleganza e vitalità.
Per la prima volta nell’opera, oltretutto, sono state eseguite delle pagine, ritrovate negli archivi russi nel 2015, solo strumentali e scritte autografe dal compositore ma non si sa per quel ragione poi omesse, e che cosi finalmente si sono potute ascoltare nel loro contesto della partitura originale.
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