Il jazz come virus e medicina
Alla Sapienza ""Il jazz visto dalla Luna", di Luigi Cinque.
15 dicembre 2014 • 2 minuti di lettura
IUC - Istituzione Universitaria Concerti Roma
L’Aula Magna dell’Università la Sapienza di Roma, sede abituale della stagione musicale della IUC, per una notte somiglia alla reggia degli Estensi. A introdurre "Il jazz visto dalla Luna", "opera-improvvisa in forma di cunto" è Luigi Cinque, un novello Ariosto che cita Alan Lomax. La musica prende il via dal suo sax, seguita dal violino di Alex Balanescu, poi dal pianoforte di Sal Bonafede e le tastiere di Patrizio Fariselli; ognuno espone alla propria maniera il motivo inizialmente esposto dal sax. Compare in scena Astolfo: è l’istrionico Mimmo Cuticchio a dar voce e ironia (irresistibile l’invito al cugino Orlando a lasciare perdere "i fimmine") ai versi dell’Orlando Furioso. È giunto sulla luna e vede le ampolle contenenti il senno degli uomini. È il fulcro del poema di Ariosto, vedere la Terra dall’esterno, da un’infinita distanza, fa emergere la follia umana. Così la Luna sanguinante sui maxischermi, colpita da un razzo sparato dalla Terra, è rappresentazione di quanti sono “feriti” solo perché "altri", perché lontani dalla propria "Terra". "Il jazz - spiega il compositore - è interdipendenza, è basato sulla collettività … Un virus che ha infettato la Terra, il cinema, la musica e la vita stessa". L’arte del Balanescu Quartet, le architetture musicali di Bonafede, Fariselli e Mirabassi, la creatività elettronica di Cinque, la vocalità di Cuticchio, gli omaggi a Kraftwerk ("Pocket Calculator" e "Model") e Pixinguinha ("Um a zero"), e si palesa al microscopio dell’orecchio degli ascoltatori il "cromosoma j". Il pubblico in sala, solitamente posato, è scosso da un fremito. Qualcuno va via, altri alzano le mani e le battono a tempo, qualcuno balla … Orlando è guarito, per la follia degli uomini ci vorrà ancora molto, ma un segnale già s’intravede.