Il felice ritorno dell'ultima opera-fiaba

Recensione
classica
Teatro di San Carlo Napoli
Engelbert Humperdinck
16 Marzo 2002
Annunciato come allestimento di punta della stagione operistica 2002 del San Carlo (stagione afflitta da una grave crisi finanziaria che prende voce in comunicato di protesta letto prima dell'nizio dello spettacolo) 'Königskinder'; di Engelbert Humperdinck non ha deluso le aspettative della vigilia. Mai entrata in repertorio malgrado il grande successo che la accolse ai suoi tempi (esordì al Metropolitan di New York nel 1910 ), quest'opera è praticamente sconosciuta in Italia, dove non è più stata rappresentata dopo la prima alla Scala del 1911. Un destino così poco felice per la terza ed ultima opera-fiaba scritta da Humperdinck, si può spiegare in parte con l'effetto di 'oscuramento' causato dall'enorme popolarità goduta da 'Hänsel e Gretel' - che di fatto ha finito per rappresentare da sola il nome del suo autore - in parte con il fatto che le maggiori ambizioni rispetto alla più celebre consorella, spingono 'Königskinder' oltre i limiti concessi ad un genere estremamente circoscritto quale è quello della 'Märchenoper'. La cui breve stagione a cavallo fra due secoli si attuò nel segno del wagnerismo, sotto la cui ombra ineludibile si andò perseguendo in area tedesca un precario equilibrio tra tono popolare e contenuti simbolici, tra una semplicità ricreata con il ricorso al materiale folklorico e uno stile 'alto' derivante dall'assunzione di portati wagneriani come il leitmotiv e l'organico orchestrale di ampie dimensioni. Nelle sue oltre tre ore di musica, 'Königskinder' spinge la barra del timone verso il secondo termine del difficoltoso compromesso: da un lato con un libretto nel quale Else Bernstein-Porges, sotto lo pseudonimo di Ernst Rosmer, partendo da fiabe di Andersen e Grimm, delinea un dramma dai connotati simbolisti (evidenti vi sono le ascendenze di Maeterlinck e Hauptmann) e ambigue implicazioni politico-sociali; dall'altro con un partitura che pur muovendosi, come quella di 'Hänsel e Gretel', nell'orbita wagneriana con citazioni e stilemi persistenti, rimanendo all'insegna di un'estrema differenziazione stilistica, stempera l'impronta popolare in una trama musicale preziosa, in cui il ruolo determinante dell'orchestra ( derivante dal 'Melodram' base di partenza fondamentale di Humperdinck ) è messo in atto con tecniche sofisticatissime. Lo spettacolo prodotto dal San Carlo si basa su una regia un po' grigia di Paul Curran, che si serve di essenziali ( e piuttosto brutti ) elementi scenici, e che, con deboli giustificazioni, sposta l'azione nell'immediato secondo dopoguerra, affollando la scena di bambini cui è affidato il compito di animare oche e tortorelle previste dal testo. Eccellente invece la compagnia di canto nella quale emergono legittimamente il Tölzer Knabenchor, Mette Ejsing nella parte della strega, Jon Ketilsson e Juliane Banse nei ruoli dei due protagonisti, insieme ad un semplicemente superbo Olaf Bär, nella parte del suonatore ambulante. La direzione di Tate - cui vanno i consensi maggiori di un pubblico non particolarmente folto ma calorosissimo - realizza quanto di meglio si potesse immaginare per il ritorno in scena di 'Königskinder' piegando il suono dell'orchestra del San Carlo ad incredibili finezze e svolgendo con mano sicurissima il filo dell'imponente partitura di cui non ha voluto sacrificare nemmeno una battuta.

Note: nuovo all.

Interpreti: Ketilsson / Vogt, Banse, Bär, Ejsing, Williams, Keller

Regia: Paul Curran

Scene: Kevin Knight

Costumi: Kevin Knight

Orchestra: Orchestra del Teatro di San Carlo

Direttore: Jeffrey Tate

Coro: Coro del Teatro di San Carlo, Tölzer Knaben Chor

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